«Senza partecipazione non si può vincere. Assolutamente no». Geminello Preterossi, filosofo della politica che insegna all’Università di Salerno, lo esclude categoricamente. E’ il tema dell’affluenza ai seggi, che cala progressivamente, come è accaduto anche alle ultime elezioni amministrative.
Quanto incide il calo progressivo della partecipazione, anche sul significato degli stessi risultati elettorali? Ovviamente non è in discussione la legittimità formale dei numeri, ma l’astensionismo crescente è il segno di un inaridimento della democrazia.
«Il crollo dell’affluenza, della partecipazione al voto – racconta a Memos Geminello Preterossi – non è soltanto al ballottaggio, ma anche al primo turno. C’è una difficoltà, una sofferenza che arriva da prima delle ultime elezioni. E’ successo due anni fa in Emilia Romagna. Allora Renzi disse che non gli importava nulla di quanti andavano a votare, a lui bastava vincere. E’ una visione miope, piccola, della politica. Penso, invece, che la partecipazione conti parecchio. Non credo all’idea folle di alcuni politologi per i quali meno si vota e più la democrazia è vitale».
E se l’astensionismo crescente, professor Preterossi, fosse il segno dell’esclusione? Pezzi di società che non riescono più a permettersi il voto, tale e tanta è la condizione di esclusione sociale, di lontanza dalla politica.
«Certamente è vero. C’è un pezzo di società sempre più grande che si sente talmente tagliata fuori, preda di una sfiducia radicale, che non ci crede più. Per poter dare vita alla politica, per poterle dare energia, ci vuole un investimento di credenze. Penso che sia meglio che si manifesti un’energia, in una qualche forma come quella del Cinque Stelle, che il nulla. Anche perché il nulla ad un certo punto viene catturato da qualcuno, magari l’uomo forte, che usa questa passivizzazione tutta in funzione sua.
E’ una tentazione presente. Anche al nostro governo non dispiace ricevere una delega solo da una parte, quella più inclusa. E’ un’idea che è stata accarezzata, coltivata. E’ una sorta di lotta delle elite contro il popolo. Sembrerà una semplificazione un po’ rozza. E’ una sorta di paradosso: l’élite, l’establishment, la classe dirigente è un po’ irritata con il popolo che non capisce che deve prendere bastonate ed esser contento. E’ normale? No, è una cosa fuori dalla realtà. Se poi fai parte di una classe dirigente, anche solo vagamente di sinistra, ti dovresti allarmare se ti votano solo ai Parioli!».
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