Il sindacato dei giornalisti egiziani esiste dal 1941. E’ sopravvissuto al regime di Mubarak, forse non resisterà a quello di Al Sisi. Il fatto che sia sotto tiro registra l’ennesima escalation contro la libertà d’espressione, in particolare quando ad esercitarla sono giornalisti. Lo denuncia Amnesty International, che ricorda le cifre ufficiali degli arrestati in Egitto: 12 mila nei primi dieci mesi del 2015 e chissà quanti ancora in questi primi cinque mesi di 2016.
L’ultimo episodio rislae al 30 maggio: in 40 poliziotti egiziani hanno fatto irruzione alla sede del sindacato, al Cairo. Hanno ammanettato il presidente Yahia Galash e due membri del direttivo, Khaled Elbalshy e Gamal Abd el-Reheem. Dopo 13 ore di interrogatorio, le forze dell’ordine hanno formulato i capi d’imputazione: protezione di persone ricercate e produzione di notizie false. Avevano l’opportunità di pagare una cauzione per il rilascio (oltre mille dollari), ma si sono rifiutati.
Il primo reato riporta ad un altro episodio avvenuto in maggio. Amro Badr e Mahmoud al-Saqqa, due giornalisti del quotidiano online Yadir, si trovavano al sindacato. Secondo le forze dell’ordine si nascondevano, per evitare un mandato d’arresto. Così la polizia ha condotto un altro blitz sempre nella sede del sindacato, a due passi da piazza Tahrir, per arrestare i due cronisti. La colpa: aver partecipato lo scorso 25 aprile alle mobilitazioni contro l’accordo tra Egitto e Arabia Saudita per la vendita degli isolotti di Tiran e Sanfir. In più, su di loro pesano le accuse di appartenenza a gruppi segreti e forze irregolai
A quest’offensiva contro il sindacato, si aggiunge l‘”ordine di riservatezza” diffuso dal Ministero dell’Interno egiziano sulle indagini che riguardano l’omicidio di Giulio Regeni: “Per quanto riguarda la gestione mediatica dell’omicidio di Regeni e il ritrovamento dei suoi effetti personali nell’abitazione di uno dei componenti della banda ucciso il 24 marzo scorso a Heliopolis e dopo gli sviluppi medicatici successivi e l’intenzione di alcuni organi di stampa di accusare il ministero dell’Interno in questo caso – si legge in una mail “erroneamente” consegnata ai mezzi di stampa dal dicastero -, chiediamo a sua Eccellenza di coordinarsi con il signor Procuratore generale per emettere un ordine di riservatezza sul caso sino alla fine dell’inchiesta”.
Ascolta l’intervista a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia