E’ morto all’età di 82 Leonard Cohen, il cantautore e artista canadese che ha segnato intere generazioni di musicisti a partire dagli anni ’60.
Nato nel 1934, poco prima di Elvis Presley, è stato il primo dei cantautori degli anni sessanta a compiere ottant’anni. Per lui – ebreo con l’anima zen- sono state create decine di etichette: “Il poeta del pessimismo”, “Il droghiere della disperazione”, “Il padrino della depressione”, “Il principe dei falliti”. Nonostante questo ha regalato piacere e perfino qualche risata a quel milione o giù di lì di persone che hanno comprato i suoi dischi. Ha usato molti stili musicali, dal folk acustico all’elettro-pop.
Ma i suoi testi hanno compiuto un solo salto stilistico, dal lirismo lussureggiante all’umorismo asciutto. I suoi gorgheggi andavano da un lamento debole ma gradevole, a un eroico brontolio da fumatore. Era inutile chiedergli da dove venissero le sue canzoni, se glielo chiedevi rispondeva: “Se lo sapessi, ci andrei più spesso”.
Il suo colpo di fortuna fu l’incontro con la cantante folk Judy Collins. Le cantò Suzanne al telefono e lei immediatamente gli promise la registrazione. Il suo eroe era Federico Garcia Lorca, a tal punto che diede il suo nome alla figlia. Lui stesso fu un grande poeta, ma era anche un maniaco depressivo. A proposito delle droghe disse: “Le ho provate tutte. Quelle ricreative, quelle ossessive, quelle farmaceutiche. Promuoverei entusiasticamente l’uso di ognuna di esse, se funzionassero”.
Nel 2001 disse: “Quando Alberta Hunter ancora cantava, molti anni fa, e lei ne aveva 82, venni a New York apposta per ascoltarla. Quando lei diceva “Dio ti benedica”, davvero ti sentivi benedetto. E’ meraviglioso sentire un ventenne che parla d’amore. Come dice il Talmud, c’è del buon vino in ogni generazione. Ma io adoro sentire un vecchio cantante far mostra d’amore”. E mi piacerebbe essere uno di questi”.
E lo è stato, un grande cantore dell’amore, sia di quello carnale, che di quello cerebrale. Una delle sue frasi preferite, usata in più di una intervista, fu “Il cuore continua a cuocersi, sfrigolando come uno shish kebab…”. Recentemente, citando Irving Layton, era solito dire: “Non è la morte a preoccuparmi, ma i preliminari”.