
Fu il Partigiano Renato Boeri ad annunciare la liberazione di Stresa dai nazifascisti.“Si affacciò al balcone del Comune, quello con le bandiere, lo vedi?” mi dice la persona che mi accompagna per le strade di una cittadina ancora sotto shock per la strage della funivia. “Qui in città c’erano i fascisti, i Partigiani erano sul Mottarone. E’ lassù che Renato conobbe Cini, lei faceva la staffetta -insiste la mia guida- dietro, c’era la Valdossola, avevano fatto la Repubblica”. La giornata è umida, la luce è abbacinante, c’è una leggera foschia azzurrina come i filtri dello smartphone che vorrebbero ricreare le atmosfere retrò. Viene in mente un’altra epoca, la Storia che lega questi posti a quelli di un altro lago. Canta De Gregori, ne Il cuoco di Salò:
E alla sera da dietro a quei monti
Si sentono colpi non troppo lontani
C’è chi dice che sono banditi
E chi dice Americani
Stresa è così, sembra immobile nel tempo, con i suoi turisti europei, le targhe di Baden Baden e di Lucerna, le auto sportive e i camper spartani, le ciabatte e i pantaloncini sul lungolago il primo giorno di caldo, di fronte al Grand Hotel, e allle ville storiche che sembrano castelli, quelle dei Branca, dei Bialetti, dei nomi della borghesia. E il Principe, Vitaliano Borromeo, che se ne sta sulla sua isola, ed è un Principe vero, che ancora oggi gli devi pagare il pedaggio per salire sulla montagna, che gli appartiene-un pezzo, gli appartiene – e lo devi pagare anche se peschi il pesce del lago, ché i diritti sono suoi. Un posto così è abituato alla continuità, alla vita che non cambia mai. Alla tradizione senza tempo. La strage della funivia è un trauma anche per questo. Perché all’improvviso sono arrivate le telecamere da tutto il mondo a dire che qualcosa si era rotto, e soprattutto a chiedere come possa essere accaduto.E nessuno lo sa dire, come possa essere accaduto.
“Non si poteva immaginare che si sarebbe rotto il cavo” hanno detto quelli che lavoravano alla funiva.“Non si poteva immaginare che si sarebbe rotto il cavo” ribadiscono le persone a Stresa.“Siamo senza parole, non ci vogliamo credere” dicevano tutti, dalla sindaca al barista, il giorno dell’incidente. Non era il tentativo di coprire qualcuno o qualcosa. Era il dramma di una tragedia che rompeva l’incantesimo della terra fatata, dove anche il pensionato in bicicletta, quando ti parlava del Principe, lo faceva con l’orgoglio dell’appartenenza: “Abbassa la voce che è qui, lo vedi il motoscafo? E’ il suo. Qui viviamo di turismo e loro hanno investito tanto, nel turismo del Mottarone”. Due settimane dopo la strage, la porta che dà sull’ingresso della partenza della funivia è chiusa coi sigilli. A terra mazzi di fiori, corone, biglietti di cordoglio, lumini con immagini religiose.A fianco c’è l’ingresso del ristorante dell’imbarcadero. La ragazza che serve ai tavoli lavora senza sosta. Il lunedi dopo l’incidente, a mezzogiorno, aveva chiesto a tutti di uscire dal locale anche se pioveva forte e faceva freddo. Bisognava rispettare i 14 minuti di silenzio e di serrata, 14 minuti come le 14 persone morte. Alla fine, era scoppiata a piangere abbracciando i colleghi. Un attimo. Poi aveva ripreso a lavorare. Lavorare.
Tutti vogliono lavorare. Un po’ è un modo per elaborare il lutto, un po’ per modo di esorcizzare la paura che la funivia caduta porti via con sé anche l’economia della zona.Al mercato sono preoccupati moglie e marito che vendono i formaggi delle valli e delle montagne del Piemonte. Vengono da Pettenasco, dall’altra parte del Mottarone. Hanno paura che i turisti non torneranno. “Ma sì tornano, tornano anzi vedrai che arriveranno pure quelli che vorranno fare i curiosi” dice il parcheggiatore, con un po’ di risentimento. Non gli dico che sono un giornalista, lo capisce dalle domande che gli faccio. La strage della funivia a Stresa è una tragedia di tutti perché tutti si conoscono, col Tadini e col Nerini. Sono di qui, sono cresciuti insieme. La Procura della Repubblica di Verbania si è scontrata con la Giudice per le Indagini Preliminari, in questa prima fase dell’inchiesta. La Procura avrebbe voluto fare arrestare i tre indagati, il caposervizio Gabriele Tadini, il direttore di esercizio Enrico Perocchio, il proprietario della società di gestione, Luigi Nerini.Tadini ha confessato subito di avere messo i ceppi ai freni per evitare che la funivia, che aveva problemi di funzionamento, si fermasse di continuo. E ha detto che gli altri due sapevano e tutti e tre erano d’accordo nell’agire così. La Gip ha stabilito che le sue parole da sole non bastano, ci vogliono altri elementi.
La Procura si è messa a cercarli e punta anche sulle testimonianze.Fino a questo momento sono stati ascoltati i dipendenti della funivia. Molti di loro fanno gli stagionali, lavorano anche in altri impianti di montagna.“Ma non sono di qui i dipendenti -dicono a Stresa- noi non sappiamo chi siano, vengono dalle montagne, qui uno di Brisino è già uno che viene da lontano” dicono al mercato.E dov’è Brisino? “E’ lassù”, il dito puntato sulla montagna. Tadini e Nerini, anzi, il Gabriele e il Luigi, invece è come se fossero di famiglia da sempre.“Certo che lo consosco il Tadini, siamo andati a scuola insieme. Poi un po’ l’ho perso di vista ma siamo coscritti. Il Nerini invece ciao, ciao e niente più” dice un avventore al bar.
La voce del popolo di Stresa afferma che il legame tra i due fosse talmente forte che quando la società andò in crisi e il servizio fu sospeso tutti vennero messi in cassa integrazione tranne il Tadini.“Per non farlo andare via” spiegano: “era stato il papà di Nerini, Mario, che oggi ha più di 90 anni, ad assumerlo, 36 anni fa”.La sentenza, per molti, è già scritta: “non potevano non sapere”.“Era sempre lì il Nerini, si parlavano di tutto, guarda per me per una cosa così è da buttare via la chiave”“Ma come si lavorava? Testimoni dicono che le regole non venivano rispettate”“Ma cosa vuoi che ti dica, non lo so, io se affitto una barca e la riempio di gente e la barca affonda è colpa mia mica del ragazzo che li ha fatti salire”.
L’inchiesta deve essere rigorosa, per affermare una colpevolezza per strage servono prove solide, non certo voci. E la Giudice per le Indagini Preliminari è stata chiarissima, quando ha spiegato che questo è lo Stato di Diritto: “ringraziate -ha detto- che il sistema è garantista”.L’inchiesta con le sue logiche procedurali quasi quasi però non interessa neanche più, tanto la Procura non è nemmeno qui, è a Verbania. A Stresa prevalgono i sentimenti e quando i rapporti sono così stretti i sentimenti sono ancora più forti. Due settimane dopo, emerge la rabbia.La rabbia perché stai dicendo “buttare via la chiave” pensando a persone che conosci da una vita, a rapporti di famiglia, di amicizia, di lavoro che vanno indietro di generazioni. E fa male.
Foto | @Ambrosiogram