“Durante lo sciopero dei minatori del 1984-1985 – racconta Andy, un collega di lavoro – ricordo che l’energia veniva razionata e molte sere ero costretto a fare i compiti con la pila elettrica, perché i minatori erano in agitazione”.
Andy da venerdì non si dovrà più preoccupare, perché i minatori in Inghilterra saranno praticamente una specie estinta.
Il 18 dicembre chiuderà i battenti dopo 50 anni di produzione la Kellingley Colliery, l’ultima e la più grande miniera del tipo deep pit, a pozzo profondo, dell’intera Gran Bretagna. Dove non è riuscita Margareth Thatcher, dove hanno fallito anni di politiche anti-sindacali, sono riuscite la transizione energetica e la legge di mercato.
Big K, come la chiamano tutti i minatori del North Yorkshire, a pieno regime impiegava oltre 2mila persone. Ad oggi il numero sì è ridotto a 450. I suoi pozzi da 800 metri di profondità da questo fine settimana saranno chiusi.
Lo stop alle operazioni, deciso da mesi per ragioni economiche, cade solo per caso in concomitanza con la fine della conferenza sul clima di Parigi; ma il legame simbolico è significativo.
La produzione di carbone, l’elemento che ha alimentato la rivoluzione industriale, l’espansione dell’Impero Britannico, vera e propria spina dorsale dell’economia d’oltremanica per due secoli, è crollata drasticamente negli ultimi anni.
Quella dalle miniere a pozzo profondo nel Regno Unito ha toccato un minimo storico di 3,7 milioni di tonnellate metriche nel 2014, contro le 217 del 1954, secondo i dati del dipartimento per l’Energia e il Cambiamento Climatico. Allora le oltre 1.300 miniere a pozzo profondo del Paese contavano per il 95% della produzione totale di carbone del Paese.
Non che il carbone sia diventato obsoleto (al contrario, la domanda mondiale, secondo la IEA, l’agenzia internazionale per l’energia, crescerà fino al 2040 se il mondo, e la Cina in particolare, non deciderà interventi drastici in materia ambientale) e il Regno Unito lo utilizza ancora massicciamente per l’alimentazione delle sue centrali energetiche. Ma le dinamiche di mercato hanno reso più conveniente importarlo, principalmente dalla Russia.
La ragione è semplice: costa molto di meno. A oggi, con il carbone ai minimi storici intorno ai 45 dollari alla tonnellata, la produzione della stessa tonnellata a Kellingley costa circa 65 dollari. Se aggiungiamo che Drax, la più grande centrale a carbone britannica e principale cliente della miniera di Killingley, chiuderà il contratto per l’acquisto del carbone in esclusiva a fine 2015 e si rivolgerà al mercato, il quadro è completo.
Kathrin Gutmann, del Climate Action Network Europe, una ong ambientalista, ha commentato che la chiusura di questo tipo di miniere “è un segnale globale del fatto che i Paesi sviluppati devono ‘decarbonizzare’ le loro economie”.
Un argomento che difficilmente potrà risultare popolare tra i minatori che da lunedì non avranno più un lavoro. “La nostra civiltà è fondata sul carbone” scriveva Orwell nel 1937.
Da domani quelle fondamenta saranno qualcosa di molto simile a un ricordo.