In questi giorni è in uscita Fuori per sempre (ed. Marcos y Marcos), un romanzo che sta raccogliendo molto interesse. La sua autrice, Doris Femminis, è ticinese ed è stata recentemente ospite del Salone del Libro di Torino. Il romanzo parla di destini incrociati e di giovinezza difficile perché spesso attraversata da dubbi, disagio psicologico e talvolta psichiatrico.
Affronta con grande potenza questo contesto perché non è un romanzo che fa dichiarazione di intenti, ma una storia che porta dentro la vita delle protagoniste. Il libro non “parla di” ma “ci parla” con la voce di una di una ragazza, anche se gli altri due personaggi principali continuano a essere fortemente presenti nella percezione del lettore.
L’autrice Doris Femminis ci ha raggiunto negli studi di Radio Popolare nella trasmissione Cult per parlarcene.
La protagonista Giulia si trova in una condizione che potrebbe aver riguardato ciascuno di noi a quell’età. Una serie di accadimenti la spinge a scappare, inseguita dai suoi pensieri. Come è nato questo personaggio?
Giulia è nata dall’idea di poter raccontare il tempo della crisi: quel momento in cui tutti ci siamo trovati, in cui non abbiamo più i nostri appigli soliti. A un certo momento della sua vita, per una ragione che neanche lei riconosce, Giulia tenta il suicidio e finisce in ospedale psichiatrico. L’idea della crisi nasce proprio da quella del cambiamento possibile e il suo primo moto è quello della fuga. Un istinto che abbiamo tutti: quando un problema si presenta, la prima cosa che abbiamo voglia di dire è “Non ce ne occupiamo e passerà. E se non passa, poi vedremo”. È vero che spesso i problemi si risolvono da soli quindi non sono problemi grossi, ma non è il suo caso, e lei tenta di sfuggirlo attivamente: per esempio inizialmente, fugge dall’ospedale. In seguito però ci ritorna e si crea una specie di tira e molla con i terapeuti che la invitano ad analizzare la ragione per la quale ha deciso di morire, che lei non conosce, e a cercarne l’origine.
Fuori per sempre è un titolo che si presta a moltissime interpretazioni: gioca con il gergo, con un modo giovanile di essere che viene ben rappresentato all’interno del romanzo. Questo è l’altro grande macropersonaggio che si riscontra: il disagio mentale che per alcuni giovani diventa quasi una persona, qualcosa di tangibile e concreto. Nel libro, una dottoressa guadagna la fiducia di Giulia tanto che l’ospedale diventa improvvisamente una protezione, non più un luogo da cui fuggire. Tutto questo però rivela un’interiorità che sempre più rappresenta tanti giovani. Un esempio è la sorella Annalisa: una sorella difficile, complicata, che rappresenta tutta la famiglia.
Annalisa è il personaggio che racconta la storia della famiglia. In seguito Giulia narra la storia di sua sorella quando finalmente decide di cercare qualcosa dentro di sé. Racconta le sue origini nelle montagne ticinesi, in un piccolo villaggio e in una famiglia che è a cavallo tra la civiltà contadina appena superata e gli anni ’90, in cui lei ha venti anni e molti desideri. Una mamma che vorrebbe, o non può far altro che immaginare per lei, la vita che lei stessa ha avuto: avere dei figli, occuparsene, restare in paese. Carmela, la mamma di Giulia e di Annalisa, tutti gli anni cade in una depressione cronica. È qualcosa che succede spesso nelle famiglie, ci sono genitori che hanno depressioni molto profonde. I figli, questi momenti di assenza del genitore, li vivono spesso sentendosi abbandonati, a volte volendo salvare il genitore oppure reagendo con la rabbia per non avere qualcuno capace di occuparsi di loro. Giulia cerca in qualche modo di restare leale a quel mondo e trovare la sua via.
Gli anni ’90 in un contesto come quello della Svizzera italiana erano un crogiolo di provenienti da tanti ambienti differenti. Immagino abbia messo memorie proprie nella descrizione di questo mondo. Il tipo di pressione sociale che può subire una ventenne anticonformista, viene molto fuori dal libro. Com’era il Ticino negli anni ’90?
Il Ticino è sempre stato un luogo di emigrazione: i ticinesi sono emigrati moltissimo nell’America del Sud e in California all’inizio del secolo. Poi è diventato un luogo di immigrazione dopo la guerra grazie al benessere che ha cominciato prosperare. Però il Ticino è anche un luogo in cui, nelle valli, questa povertà in qualche modo è rimasta. Non tanto nel benessere ma nella scarsa apertura verso il resto del mondo. Negli anni ’90 in un villaggio ticinese c’era ancora un atteggiamento di protezione della comunità. Da una parte può far sentire accolti e coccolati ma dall’altra tende a smorzare tutte le originalità: ogni angoletto non conforme che potrebbe spuntare nella personalità di qualcuno viene subito smussato. Non è concesso essere diversi e quando qualcuno è diverso lo avverte in modo profondo, si sente subito inadeguato.
Il terzo personaggio importante è Alex: artista straordinaria, tutta fuoco, passione e tempesta che arriva nell’ospedale dove Giulia si trova e sovverte, non tanto le sue certezze quanto i suoi dubbi, mostrandole una possibile via. Una via più grande del vero, una via tutta fatta di maiuscole. Questo personaggio che valore ha nel romanzo?
Alexander già nel nome rappresenta qualcosa dell’onnipotenza che sconfigge ogni cosa e il motore che la porta nel mondo è la rabbia. La sua reazione costante in tutto l’arco del romanzo è quella del passaggio all’atto: appena si trova di fronte a una qualsiasi difficoltà trova il modo di interpretarla come un attacco al quale rispondere. La sua vita è una battaglia e come ogni guerriero prova anche un certo sentimento eroico. Ho scoperto che Alessandro vuol dire “colui che protegge gli altri” e, in effetti, Alexander in fondo se ne frega un po’ degli altri ma li imbarca comunque perché preferisce non essere sola, se possibile.
Certamente nel libro ci sono memorie personali relative soprattutto alla descrizione di un contesto da cui proviene la nostra Giulia e anche di gran parte della sua famiglia. Ma è vero che lei voleva fare la capraia e pascolare le capre, come Heidi praticamente?
Io volevo fare la capraia nell’infanzia, avevo dei prozii che erano caprai per cui da bambina andavo nelle stalle dove nascevano i capretti e mi sono innamorata. Era uno dei miei sogni di infanzia.
Se non sbaglio ha avuto anche esperienze da infermiera e conosce bene gli ospedali e le case di cura.
Lavoro come infermiera in psichiatria da quando avevo 18 anni, non ho avuto bisogno di fare uno stage di immersione.
Mi sembra importante ricordare che lei è molto legata al territorio che descrive e che tutt’ora abita in un in un luogo particolare, in un borgo.
Dopo questa esperienza di otto anni con le capre sono emigrata a Ginevra quindi ho vissuto per dodici anni in città, ho fatto anche il mio stage urbano. Poi sono tornata a vivere su un altopiano tra le foreste.
Qui trovi il link al podcast della trasmissione Cult del 13 Maggio.