Durante la campagna elettorale Donald Trump ha parlato molto poco di politica estera, vale anche per il Medio Oriente. Tra le poche cose che ha detto e ripetuto c’è la promessa di portare la pace nel mondo. E in questo momento il Medio Oriente è una delle regioni più instabili a livello globale.
Anche in questo caso vale poi che la seconda presidenza Trump, visto il personaggio, sarà caratterizzata da un altissimo grado di incertezza e imprevedibilità, almeno fino a quando non verranno prese, volta per volta, le singole decisioni. Su tutti i dossier il futuro presidente americano punterà soprattutto a fare gli interessi immediati degli Stati Uniti. Partiamo quindi da una delle poce cose certe, confermata anche dalle reazioni di queste ore. La vittoria di Trump è stata accolta con favore da una buona parte degli israeliani. Primo fra tutti Netanyahu. Le congratulazioni del primo ministro israeliano sono andate ben oltre il formale e dovuto messaggio diplomatico. Ricordiamo anche che Trump riconobbe Gerusalemme come capitale di Isreale e spostò lì l’ambasciata americana che era a Tel Aviv.
Sulla carta Netanyahu troverà quindi in lui un alleato più solido rispetto a Biden, che seppur senza alcun risultato concreto, ha manifestato più volte la sua frustrazione per le scelte del governo israeliano in questi ultimi mesi, a Gaza e in Libano. Potrebbe quindi essere che Netanyahu abbia più mano libera nei territori palestinesi e in Libano. E magari – il punto geopoliticamente più pesante – anche con l’Iran. Non sono nemmeno da escludere nuove sanzioni americane a Tehran. Non è per nulla scontato, invece, che si vada verso un intervento militare diretto degli Stati Uniti, al fianco di Israele, contro l’Iran. Durante la sua prima presidenza Trump favorì il riconoscimento di Israele da parte di alcuni paesi arabi, gli Accordi di Abramo. E potrebbe proseguire su questa linea. Anche Biden in realtà ci ha tentato. E qui entra la questione palestinese.
Durante i suoi primi quattro anni alla Casa Bianca Trump spinse per il riconoscimento arabo di Israele mettendo in secondo piano, anzi mettendo proprio sotto il tappeto, la questione di uno stato palestinese. Hamas ha detto oggi che si aspetta mosse per arrivare alla fine della guerra, ma i palestinesi, ancora una volta, potrebbero essere le vittime di un riavvicinamento tra Israele e paesi arabi. Sarà emblematico l’atteggiamento dell’Arabia Saudita, con la quale Trump ha ottimi rapporti. Ma con queste premesse come sarà possibile arrivare alla pace di cui ha parlato il futuro presidente americano? Quindi in questo momento come sarà possibile fermare il conflitto a Gaza e in Libano, e anche lo scontro Israele-Iran?
Molti commenti in Medio Oriente sottolineano oggi un punto: che ci piaccia o no Trump almeno è uno che prende decisioni.
Quali saranno non lo possiamo sapere.
Donald Trump e la questione Palestinese
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Autore articolo
Emanuele Valenti