L’indagine della Camera del Lavoro di Milano ci restituisce un quadro del mondo occupazionale, a partire da quel 60% di cessazioni di lavoro proprio tra i contratti a tempo indeterminato, registrate nel 2024. Persone, prevalentemente cinquantenni o più, che hanno sempre lavorato e che si devono rimettere in gioco senza mai trovare corsi di formazione davvero utili, rivolgendosi prevalentemente alle piattaforme online e soprattutto dovendo accettare meno salario, meno garanzie e più precarietà.
Storie come quella di Carlo, che dopo 30 anni da perito chimico passa al farmaceutico per reinventarsi poi tecnico delle acque a 62 anni. Ma ci sono anche giovani donne laureate in materie Stem che cercano un’occasione migliore di lavoro. Una volta trovata, però, le promesse non corrispondono a quanto era stato raccontato. Vengono addirittura licenziate senza preavviso e poi faticano a rientrare a tempo indeterminato perché ormai, anche nell’informatica di medio-alta fascia si lavora a gettoni in somministrazione, sicuramente a distanza, non si vede più nemmeno il proprio datore di lavoro in faccia.
“Il mercato del lavoro è sempre più disallineato”, commenta amaramente Valentina Cappelletti della segreteria della Camera del Lavoro di Milano. Anche in maniera reciproca, nel senso che vale anche per la domanda. Così assistiamo al rafforzamento del fenomeno delle dimissioni volontarie: 225mila nei primi nove mesi dell’anno, soprattutto di giovani. Cercano opportunità migliori che per un terzo, dopo un anno, non hanno ancora trovato. Né qualifiche né ruolo. Riconciliazione con la vita sì ma, prima ancora, salari degni di vivere è quello che chiedono.