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Diego racconta Maradona

“Ci sono due lati: Diego, che è una persona per bene, per cui andrei in capo al mondo. Poi c’è Maradona, che è il personaggio pubblico che ha dovuto creare. Senza Maradona, però, non ci sarebbe neanche Diego”. A raccontarlo è Fernando Signorini, allenatore personale di Maradona, nonché una delle figure che ha potuto conoscere e condividere sudore, fatiche e paura con il campione argentino.

Il fuoriclasse, l’uomo, il debole, la vittima, il colpevole: tutte le facce della stessa medaglia che emergono nel docu-film del premio Oscar Asif Kapadia “Diego Maradona”, nelle sale italiane il 23-24-25 settembre. Due ore in cui ci si immerge in quello che è stato il mondo di Maradona, attraverso l’uso di immagini storiche che permettono di toccare con mano la realtà di quei folli anni.

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A tenere il filo del discorso ci sono le voci di chi ha conosciuto il Pibe de oro, di chi gli ha voluto bene e di chi quelle scene le ha viste con i propri occhi. Ma c’è soprattutto Diego a raccontare Maradona; la sua voce accompagna le immagini come un flusso di coscienza, esprimendo tutto quello che in quegli anni ha pensato e covato dentro di sé, ma che non ha potuto dire. Sì, perché Maradona di Napoli è stato il re, a tratti anche il Dio, ma poi ne è stato prigionerio; oggetto di culto di un popolo che in lui vedeva il salvatore, la rivalsa in carne ed ossa talmente forte da generare un amore amaro a tal punto da impedirgli di uscire di casa, costantemente assediata dai tifosi per qualche autografo o foto. Il film fa emergere alla perfezione questo duplice e contradditorio ruolo che Diego ha ricoperto sotto il Vesuvio; un castello di carte che ha retto finché Maradona, inteso come personaggio pubblico, è riuscito a tenere a bada le paure e le ansie di Diego, uomo, ragazzo che a 25 anni aveva un’intera città ai suoi piedi.

“Ovunque andavamo a giocare c’erano gli striscioni che invitavano i napoletani a lavarsi, era l’Africa d’Italia”. Per questo Maradona decide di dedicarsi al Napoli, quegli insulti generano in lui la voglia di mettersi a capo degli ultimi e portarli davanti a tutti. Maradona sposa Napoli, ne fa la sua battaglia contro il mondo, il suo modo di ripercorrere le orme di quel Che Guevara che ha tatuato sul braccio. Portare lo Scudetto a Napoli è il suo obiettivo. Raggiunto quello, Diego inizia a non averne più. E’ stufo di tutte quelle attenzioni, di essere sempre sotto i riflettori, di essere paragonato a dio a tal punto che le infermiere portavano le sue fialette di sangue in chiesa, come se fossero già delle reliquie. In mezzo i rapporti sempre più intimi con la Camorra, che usa e sfrutta Maradona per i propri interessi, garantendo in cambio protezione. E cocaina, le sua vera debolezza, la spinta che lo mette definitivamente con le spalle al muro nella sua caduta verso il baratro che poi si aprirà negli anni successivi. “Mi venivano a prendere alle tre di notte e mi portavano nei vicoli della città, dove c’erano migliaia di persone ad aspettarmi. Nessuno però osava toccare la mia macchina in quei momenti”.

Maradona parla anche del suo rapporto con Corrado Ferlaino, il presidente che ha fatto carte false pur di portare il giocatore più forte del mondo nella città più povera d’Italia. Archittetto di uno degli amori più grandi che ci siano mai stati tra un popolo e un calciatore, ma anche “carceriere” di Diego quando gli comunica la sua volontà di cambiare aria. Aveva speso troppo per mettere già la parola fine su quel bellissimo sogno.

Due scudetti, una Coppia Italia e una Coppa Uefa in sette anni, finché Maradona diventa troppo scomodo. Dopo il Mondiale del ’90 tutta Italia lo odia, lui è infelice, la cocaina è sempre di più. La sua cattiva fama lo rende solo, anche la Camorra gli volta le spalle, Maradona è troppo al centro dell’attenzione per i loro gusti. E così Maradona se ne va, “Sono arrivato e mi aspettavano 85mila persone, sono andato via e non c’era nessuno a salutarmi”. Ogni vena di Maradona emerge nel film di Kapadia, capace di mettere al centro della giostra Diego, a tratti artefice, a tratti spettatore passivo di quel circo che ha iniziato a girargli attorno da quando aveva 15 anni. A volte Diego, a volte Maradona.

Matteo Serra

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