Roma, 26 agosto. Il ministro degli esteri cinese, Wang Yi, incontra il ministro degli esteri italiano, Luigi Di Maio. In quell’occasione, Di Maio fa una dichiarazione pubblica: “A Hong Kong è importante preservare diritti e libertà fondamentali”.
Parole che sono frutto di una pressione su Di Maio da parte del Partito Democratico. Perché sul rapporto con la Cina le posizioni nella maggioranza di governo non sono univoche. Non lo sono su praticamente nulla, lo sappiamo e questo è un problema perché le divisioni contribuiscono alla mancanza di visione strategica. Mancanza che si manifesta a tutto tondo.
Pensiamo ai 200 miliardi del Recovery Fund che non si sa come spendere: è incredibile che il governo non abbia un piano e che il Presidente del Consiglio si appelli a un dialogo con le parti sociali, dopo averci venduto gli Stati Generali come il momento in cui sarebbero state prese le grandi decisioni per il futuro.
Il secondo esempio è la politica estera e le conseguenze sono ancora più drammatiche. L’Italia un tempo era protagonista politica nel Mediterraneo. Oggi, nonostante i grandi interessi economici incarnati dall’Eni, non è più cosi e nel momento in cui si manifesta uno scontro tra Paesi occidentali da un lato, Turchia e Russia dall’altro, l’iniziativa europea è in mano a Francia e Germania.
Il presidente francese Macron ha convocato i Paesi europei della sponda nord del Mediterraneo per fare fronte comune contro l’aggressività del governo turco di Erdogan. E Di Maio è il volto sorridente e abbronzato della nostra subalternità.