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Deaglio racconta il grande depistaggio

Giovedì 13 luglio 2017, a pochi giorni dal 25esimo anniversario della strage di via D’Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta, la Corte d’Assise d’Appello di Catania, nel processo di revisione, ha assolto tutti e 9 gli imputati dall’accusa di strage. I loro nomi sono Gaetano Murana, Giuseppe Orofino, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Salvatore Profeta, Giuseppe La Mattina, Gaetano Scotto, Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino. Erano finiti all’ergastolo, e al regime di carcere duro, perchè quest’ultimo li aveva accusati ingiustamente, in quello che è stato probabilmente il più lungo e clamoroso depistaggio della Storia giudiziaria del nostro paese. Per vent’anni magistrati e investigatori hanno perseguito una falsa pista, costruita per impedire di scoprire la verità. E sbugiardata, nel 2008, dall’irrompere sulla scena del vero organizzatore dell’attentato: Gaspare Spatuzza, che si pente, racconta tutto e manda all’aria la pista indicata da Scarantino (‘un pupo nelle mani della Polizia’, lo definirà lo stesso Spatuzza).

Abbiamo chiesto al giornalista e scrittore Enrico Deaglio, autore de “Il vile agguato”, dedicato proprio alla strage di via D’Amelio, di ripercorrere le tappe di questo gigantesco depistaggio. Che, secondo lui, è ancora in corso. Ecco ciò che ha raccontato Deaglio nel microfono aperto di Radio Popolare di sabato 15 luglio:

“La scena del delitto è quella che avete visto decine di volte nelle rievocazioni televisive: in una via semicentrale di Palermo c’è un palazzo intero che salta in aria, e lì muore Paolo Borsellino con cinque agenti della sua scorta mentre suonava il citofono di casa di sua madre. Questo avviene il 19 luglio 1992, nel pomeriggio di una domenica caldissima. La scena è apocalittica, i corpi sono dilaniati. L’Italia è scioccata: solo 56 giorni prima c’è stata la strage di Capaci. Il Governo, con un inusuale decreto del Presidente del Consiglio, nomina immediatamente un plenipotenziario per le indagini: il dottor Arnaldo La Barbera, che è il capo della Squadra Mobile di Palermo e diventa il coordinatore del ‘gruppo Falcone e Borsellino’. La Barbera ottiene dei risultati immediati: ai primi di ottobre ha in mano una persona che ha confessato di aver rubato la Fiat 126 con cui è stato fatto l’attentato e di averla riempita di tritolo. Il caso è praticamente chiuso”.

“Questa persona si chiama Vincenzo Scarantino, ma francamente è una delusione totale. Nel suo quartiere, la Guadagna, è conosciuto come lo scemo di borgata: un ragazzo dalle capacità intellettuali molto limitate, che non è affiliato a Cosa Nostra, è un piccolo spacciatore di eroina che sbarca il lunario rubando gomme di automobili. Quando questo ragazzo viene messo a confronto con altri pentiti, pentiti di peso come Salvatore Cancemi, questi sono orripilati e dicono agli inquirenti: ma come è possibile che crediate a un tipo del genere? Cosa Nostra non avrebbe mai potuto mettersi nelle mani di un simile deficiente. Eppure la storia di Scarantino va avanti, la Polizia costruisce questo personaggio, i magistrati lo trovano molto attendibile, l’uomo – da semplice esecutore – diventa l’organizzatore militare della strage, quello che partecipa alle riunioni della Cupola e che conosce tutti i segreti di Cosa Nostra. Questa storia incredibile va avanti dal 1992 al 2008, tra processi, certificati di attendibilità, diverse ritrattazioni (“Mi hanno estorto tutto, mi hanno torturato, io non c’entro niente”) e il pm Nino Di Matteo sicuro che le ritrattazioni siano la prova che la Mafia lo minaccia”.

“Ma nel 2008 compare sulla scena un altro personaggio: Gaspare Spatuzza, che è l’assassino di don Pino Puglisi, il parroco antimafia del quartiere Brancaccio di Palermo. Spatuzza dice in sostanza: sono stato io, la macchina l’ho rubata io, io l’ho imbottita di tritolo – ma in un altro posto, non dove dice Scarantino. L’omicidio di Borsellino rientra in un piano (con le bombe di Firenze, Milano, Roma) che i miei capi, i fratelli Graviano di Brancaccio, hanno portato avanti per conto di Silvio Berlusconi, nelle cui società avevano investito i loro capitali”.

“Panico e imbarazzo, soprattutto alla Procura di Caltanissetta (competente per le indagini su via D’ Amelio, ndr). Gli ergastolani, che se ne stavano al carcere duro a Pianosa da una decina d’anni grazie alle accuse di Scarantino, vengono liberati in tutto silenzio e si ricomincia con un altro processo in cui questa volta a dire cosa è successo è il pentito Gaspare Spatuzza. Il quale però non dice proprio tutto: ancora adesso, 25 anni dopo, non sappiamo chi ha ucciso materialmente Borsellino, cioè chi ha schiacciato il famoso telecomando. Non sappiamo come la Mafia abbia saputo che quel pomeriggio il giudice sarebbe andato a trovare sua madre e come si siano sentiti sicuri di parcheggiare lì sotto un’autobomba. Non sappiamo che tipo di esplosivo sia stato usato. In ogni caso Spatuzza è stato considerato un pentito credibile perchè ha fornito moltissimi particolari che solo una persona profondamente coinvolta nella strage poteva conoscere e su cui ci sono stati notevoli riscontri. Anche sulle stragi fatte da Cosa Nostra nel continente ha riferito molti particolari che conosceva in quanto organizzatore militare di quegli attentati.  Quanto ai mandanti, i fratelli Graviano e Berlusconi, non sono state trovate prove di quanto affermato da Spatuzza, e anche Marcello Dell’Utri, pur condannato per altre vicende, non lo è stato per queste dichiarazioni. Il contributo di questo pentito è stato quindi quello di sbugiardare Scarantino e con lui un’ottantina tra magistrati, poliziotti e carabinieri che avevano organizzato questa pista, durata una ventina d’anni”.

“Erano tutti collusi? Su questo ora bisognerebbe indagare. Quei magistrati oggi dicono: “Ci fidavamo di La Barbera”, e poi si sono dati la colpa l’uno con l’altro. Alcuni sono anche stati accusati di aver imbeccato Scarantino. Insomma, un favoreggiamento al depistaggio di sicuro c’è stato: tutte queste persone dovrebbero essere indagate perchè il reato è particolarmente grave. La Procura di Caltanissetta però non ha mai sanzionato nessuno, nemmeno i due poliziotti che hanno materialmente ‘gestito’ il pentito, arrivando a torturarlo. Hanno preferito dire: son passati tanti anni, può darsi che sia vero ma ormai non avremmo prove. Così per questo depistaggio che è durato 25 anni e a mio parere è ancora in corso non è stato riconosciuto nessun colpevole. E non si è neanche ben capito perchè tutto questo è avvenuto, perchè un valente capo della Polizia nello stesso pomeriggio della strage di via D’Amelio decide che deve depistare. Qualcuno dice che è stata ‘ansia da prestazione’: il Governo gli aveva detto di trovare in fretta un colpevole perchè l’opinione pubblica era in subbuglio, e lui l’ha trovato. A me questa versione non convince, una cosa del genere non può durare per vent’anni…certo poi La Barbera ha fatto carriera, lo abbiamo pure ritrovato in veste di capo dell’Ucigos davanti alla scuola Diaz nei giorni del G8 di Genova 2001! Eppure, a voler trovare la verità, un’altra pista c’era. Erano stati in molti dopo la morte di Borsellino a far notare che lui si stava occupando di inchieste di carattere economico, che riguardavano questioni di appalti e investimenti della mafia al Nord. E’ stato tutto insabbiato”.

“Tornando a Spatuzza, dobbiamo dire che viene arrestato nel 1997 a Palermo in un’operazione di Polizia dalle circostanze inusuali: un lungo conflitto a fuoco, si sparano più di cento colpi nel centro della città e lui viene ferito. Arrestato, decide di parlare subito. Viene processato e condannato per la strage di via dei Georgofili a Firenze, e mentre si trova all’ergastolo in carcere viene interrogato in un colloquio investigativo dal Procuratore Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna e dal suo vice, Piero Grasso, attualmente Presidente del Senato. Il colloquio, lunghissimo, è del luglio 1998: lo conduce in buona parte Piero Grasso, che con Spatuzza parla da siciliano a siciliano: i due magistrati stanno in sostanza trattando il suo pentimento. In particolare, tra le domande che vengono fatte al mafioso, ce ne sono molte che riguardano i mandanti delle stragi: i due magistrati vogliono sapere di più sulla questione dei fratelli Graviano che si sarebbero messi in società con Silvio Berlusconi. Quando arrivano a parlare di via D’Amelio, Spatuzza dice: sono stato io, la macchina l’ho rubata io, l’esplosivo ce l’ho messo io. E guardate che Scarantino è completamente fasullo, è un pupo nelle mani della Polizia. Aggiunge anche che ad organizzare il tutto sarebbe stato Totò La Barbera (omonimo di Arnaldo), un poliziotto della Mobile che si sarebbe occupato di costruire il personaggio del falso pentito. Vigna e Grasso ascoltano, fanno altre domande, poi alla fine come è previsto dai doveri della Procura Nazionale Antimafia trasmettono le ‘notizie di reato’ alla Procura competente: Caltanissetta. Il verbale non ha valore giuridico, perchè è stato solo un colloquio investigativo, ma si tratta di far sapere ai magistrati che conducono l’inchiesta che c’è un signore molto beninformato che dice che quello che loro stanno facendo è sbagliato. La DNA ha fatto questo passo, ma la Procura di Caltanissetta non ha recepito l’informazione, e non lo ha fatto fino a quando, dieci anni dopo, Spatuzza si è pentito a seguito di una conversione religiosa e le sue dichiarazioni sono diventate pubbliche”.

“Io penso che il depistaggio sia ancora in corso, e che lo si debba tenere in piedi perchè la pista buona da seguire era quella che porta a Silvio Berlusconi. Forse avete notato che il boss Giuseppe Graviano ancora manda messaggi all’ex Cavaliere. Poche settimane fa la Procura di Palermo ha annunciato di averlo intercettato in carcere, con il solito metodo del ‘detenuto civetta’ che lo fa parlare: dopo un anno di conversazioni ascoltate, la Procura ha tirato fuori alcune frasi del Boss. Che dice in sostanza: io sono quello che ha fatto la fortuna di Berlusconi, che gli ha portato il benessere. Poi lui mi ha chiesto un grosso favore e io gliel’ho fatto, e per questo sono stato arrestato (a Milano nel 1994, ndr). Ma lui mi lascia marcire in galera e tutti i suoi soldi li spende con le puttane. Non è la prima volta che Graviano manda dei messaggi dal carcere, aveva già fatto capire di essere disposto a pentirsi, quando sarebbe arrivato il momento opportuno. Insomma è una storia ancora molto oscura, qualcosa continua ad agitarsi sottotraccia. Vedremo, ora che la Procura di Palermo ha acquisito questa intercettazione agli atti del processo sulla trattativa Stato-Mafia forse qualcosa verrà fuori…”

“Per la verità io sono tra quelli che credono che quel processo sulla Trattativa sia una vera e propria cialtronata, costruita – anche qui – su un testimone completamente fasullo, Massimo Ciancimino (che adesso si trova in carcere per avere calunniato a falsificato prove) e basata su un assunto che non sta in piedi. Praticamente, tutto quello che è successo sarebbe successo perchè Cosa Nostra aveva molta gente al 41 bis (il regime di carcere duro, ndr) e quindi ha fatto una campagna spaventosa di attacco allo Stato per costringere quest’ultimo a trattare e togliere un po’ di 41 bis ai suoi detenuti. a me sembra un ragionamento molto, molto riduttivo. Secondo la Procura di Palermo anche l’omicidio Borsellino rientra in questo quadro: il magistrato andava eliminato perchè era al corrente della Trattativa e voleva mettersi di traverso. Per me non sta nè in cielo nè in terra. Forse anche questo è un depistaggio”.

“Quello del 19 luglio sarà un anniversario tristissimo. Dopo 25 anni celebriamo il fatto che non sappiamo niente, salvo che si è voluto coprire la verità”.

Ascolta l’intervista di Lorenza Ghidini a Enrico Deaglio

Enrico Deaglio via D’Amelio

 

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