
Si allena il giusto. Non troppo, non troppo poco. Sul piano tecnico è un aristocratico naturale, una dote di cui approfitta usandola come un alibi per giustificare la sua indolenza e uno spiccato e incorreggibile complesso di superiorità. Per lui chi si ammazza di fatica sul campo di allenamento lo fa perché non sa giocare.
Così Dario Cresto-Dina, giornalista di Repubblica, descrive Adriano Panatta nel suo Sei chiodi storti. Il libro, edito da 66th&2nd, racconta una delle grandi imprese dimenticate dello sport italiano: la vittoria della nazionale azzurra di tennis alla Coppa Davis del 1976.
Una vittoria che per molti non andava festeggiata, nè sarebbe mai dovuta avvenire. Perché quell’anno si giocava in Cile, nella terra del massacratore Pinochet.
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Dopo trattative che coinvolsero il governo e Enrico Berlinguer gli atleti italiani salirono sul volo per Santiago e ebbero la meglio della nazionale locale. Leggendarie le magliette rosse con cui Panatta e Paolo Bertolucci affrontano il doppio, che di fatto consegnò la grande Insalatiera alla selezione tricolore.
Con loro c’erano Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli, il capitano non giocatore Nicola Pietrangeli, il “padre paziente” Mario Belardinelli.
Sono loro i Sei chiodi storti protagonisti del volume di Cresto-Dina. Di cui a Olio di Canfora si chiacchiera con l’autore e con il grande Adriano Panatta.