Parlare della morte di Gualtiero Marchesi non significa, soltanto, parlare della morte di un cuoco. Marchesi ha meriti che vanno oltre lo stretto perimetro della sua professione: è stato chiamato il Maestro (anche se a lui non piaceva molto questa specie di soprannome) proprio perché non si è limitato a cucinare.
Ma ha insegnato un approccio alla cucina che ha plasmato l’immagine stessa dell’alta gastronomia italiana. Facendo in modo che ci sia un prima e un dopo Marchesi.
In particolare nel rapporto con la Francia: fu lui con la sua intelligenza e la sua creatività, e anche con la sua fierezza, ad liberarci da una inutile sudditanza nei confronti della cucina d’Oltralpe, che amava comunque moltissimo: lo fece quindi senza metterne in dubbio la centralità, ma partendo da quell’esempio per inventarsi qualcosa di nuovo, un modello italiano.
“La mia cucina è italiana ed è nuova”, scrisse nel 1980, in uno dei suoi libri più famosi, chiamato appunto La mia nuova grande cucina italiana. E i francesi capirono tutto questo: infatti Marchesi fu il primo nel nostro paese a ricevere le famose tre stelle Michelin, nel 1986.
Una parte consistente delle grandi firme della cucina d’autore italiana vengono dal suo vivaio: Oldani, Cracco, Berton, Camanini, Lopriore. E tanti altri si sono formati sul suo esempio e hanno avuto spazio e attenzione grazie a lui.
Uno dei più giovani suoi allievi è stato Daniel Canzian: otto anni passati con Marchesi, terminando il suo percorso di crescita con il ruolo di executive chef del Marchesino, in piazza della Scala a Milano. Oggi Canzian guida il suo ristorante, sempre a Milano, in via Castelfidardo angolo San Marco: ma ricorda con amore ogni giorno passato al fianco del Maestro.
Daniel Canzian ci ha raccontato così la sua visione sull’eredità di Marchesi, “di cui dobbiamo ancora capire fino in fondo l’importanza”, oltre a condividere con noi ricordi e aneddoti di quegli otto anni trascorsi con lui.
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