Almeno 10 persone sono morte di colera e mille si sono ammalate nel campo profughi keniota di Dabaab, vicino alla Somalia.
L’epidemia è iniziata a novembre e gli uomini dell’agenzia Onu per i rifugiati stanno cercando di contenerla. Il colera nei campi profughi è una delle malattie più micidiali e del resto le condizioni igieniche, la promiscuità, la cattiva nutrizione contribuiscono al diffondersi dell’epidemia. I campi profughi di solito sono dei mostri sociologici, delle escrescenze infette su un tessuto sano e sono il prodotto delle guerre e delle differenze economiche e politiche che caratterizzano il nostro mondo.
Dabaab è uno dei campi profughi più grandi al mondo, venne istituito nel 1991 per accogliere gli scampati dalla guerra civile in Somalia e ora è diventato una sorta città che è, di fatto, la terza del Kenya dopo Nairobi, la capitale, e Mombasa, il porto più importante del paese. La sua popolazione oscilla tra i 350mila e i 500mila profughi.
Dadaab è una specie di magma che vive di vita propria: situato appena dopo il confine con la Somalia, era nato per accogliere i profughi della guerra civile in questo paese. Il conflitto è andato avanti per venti anni e Dadaab si è gonfiato a livelli inverosimili diventando, appunto, una vera e propria città, con tutte le problematiche dei grandi centri amplificati dalla situazione di tensione, dal terrorismo dei miliziani al Shabaab che colpiscono proprio in quella regione, e dal fatto che per il Kenya il campo è una sorta di bubbone che più volte il governo ha tentato di far chiudere.
Impresa pressoché impossibile, perché si dovrebbero spostare centinaia dimigliaia di persone.
Come? Con dei pullman? A piedi? Con un ponte aereo?
Di fatto Dadaab è un ricettacolo di criminalità, di traffici e una sorta di serbatoio per il terrorismo. Pare che molti miliziani al Shabaab siano stati reclutati proprio tra le bombe di rabbia che sono i giovani costrettia vivere nel campo.
Anche le condizioni igieniche sono disastrose e il colera ne è il risultato quasi scontato.