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Tratto dal podcast
Considera l’armadillo ven 14/02
Ambiente | 2020-02-14
Un cerotto smart per curare i coralli. È quanto è stato messo a punto dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) in collaborazione con il MaRHE Center (Marine Research and High Education Center alle Maldive) dell’Università di Milano-Bicocca con l’obiettivo di curare i coralli colpiti da infezioni batteriche, virali o fungine come conseguenza dei danni provocati da inquinamento, cambiamenti climatici e attività umane.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale Scientific Reports e per parlarci di come funziona questo cerotto smart per curare i coralli abbiamo ospitato negli studi di Radio Popolare Simone Montano, ricercatore del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra (DISAT) e del MaRHE Center dell’Università di Milano-Bicocca.
Vi proponiamo alcuni estratti dall’intervista di Cecilia Di Lieto a Considera l’Armadillo.
Come è fatto un corallo
“Di solito viene percepito come un individuo, ma nella maggior parte dei casi si tratta di colonie di piccoli animaletti. Per quanto apparentemente semplice, un corallo mostra una complessità importante: all’interno delle proprio cellule ospita delle microalghe unicellulari simbionti con cui sviluppano una profonda relazione, uno dipende dall’altro. L’alga vive all’interno della cellula e sfrutta la posizione del corallo per fare la fotosintesi: cattura la luce e produce delle sostanze organiche che diventano il nutrimento del corallo”.
L’importanza dei coralli
“È una bella domanda. Sono degli ecosistemi marini importantissimi che ospitano una delle biodiversità più elevate del nostro pianeta. Di questa biodiversità conosciamo solo il 10%, quasi nulla. Ma se andiamo a contare le persone che dipendono dalle risorse che possono essere ottenute da questo ecosistema raggiungiamo le centinaia di milioni. Questi ecosistemi sono indispensabili anche per la sopravvivenza anche della nostra stessa specie”.
Lo sbancamento dei coralli. Cosa significa?
“I coralli vivono tendenzialmente in acque tropicali calde, ma sono sensibili al surriscaldamento di queste acque. Il cambiamento climatico sta aumentando la frequenza di alcuni episodi di sbiancamento dei coralli che si verificano quando l’acqua supera di qualche grado quelle che sono le medie stagionali. Quando questo succede la relazione tra l’alga e l’animale si va a rompere. L’alga torna nel mezzo acquoso e il corallo perde così la sua colorazione tipica e diventa bianco. A questo punto, proprio perché viene a mancare la fonte di cibo primaria, se questa relazione non si ristabilisce in tempi relativamente stretti i coralli muoiono di fame”.
Salute dei coralli. Cosa si sta facendo?
“La tecnologia sarà l’arma del futuro per poter salvaguardare questi ecosistemi. Io sono tra i pochi fortunati che, grazie al centro di ricerca che l’Università di Milano-Bicocca ha aperto su un’isola delle Maldive, riesce a toccare con mano questi problemi.
Lì alle Maldive ci occupiamo di coral restoration, le tecniche che hanno come concetto di base quello di allevare delle colonie di corallo per poi trapiantarle nelle zone di scogliera in cui il corallo è scomparso. Si aiuta attivamente la crescita e il recupero di questo ecosistema corallino.
E, così come accaduto col cerotto per il corallo, stanno sempre più spesso emergendo delle tecnologie d’avanguardia che aumentano la scala spaziale con cui si possono fare queste attività”.
Un cerotto smart per curare i coralli
“Possiamo immaginarlo come un cerotto che può essere applicato su quelle che possono figurarsi come delle ferite così che i coralli possono avere a seguito di una serie di stress legati all’uomo, ma non solo. Se l’uomo non è sempre la causa principale di quei danni, sicuramente amplifica alcuni effetti anche naturali che possono essere deleteri per gli organismi marini”.
Cerotto per curare i coralli. Come è fatto e a cosa serve
“I coralli, come tutti gli animali, sono soggetti a patologie di carattere biologico. E ad oggi queste patologie sono una delle principali minacce per l’integrità di questo ecosistema. Ne continuiamo più di quaranta e per la maggior parte dei casi sono in grado di uccidere la colonia di corallo.
Grazie alla collaborazione che abbiamo con l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) è nata un’idea all’inizio un po’ assurda: perché non provare a sviluppare del materiale da usare come un cerotto per sigillare le ferite dei coralli?
Il nostro obiettivo non era tanto quello di curare la ferita, ma isolare quella zona più esposta a possibili infezioni. Possiamo immaginare una ferita su un corallo come una frattura della ramificazione del corallo che fa venir meno il tessuto che lo ricopre ed espone lo scheletro sottostante a possibili attacchi di altri batteri.
L’idea era quella di realizzare una pasta eco-compatibile per sigillare queste fratture e limitare o ridurre le possibilità di infezione.
L’Istituto Italiano di Tecnologia aveva già sviluppato dei nuovi materiali per la cura delle ferite umane, dei materiali cosiddetti smart che possono essere personalizzati con l’aggiunta di sostanze come gli antibiotici, per una cura selettiva. E così abbiamo messo insieme le due cose.
È venuto fuori questo cerotto composto da due materiali diversi: uno che può essere personalizzato con sostanze antimicrobiche e anti-fungine per eliminare selettivamente il patogeno di una malattia specifica; il secondo materiale non è altro che il sigillante, quello che mantiene il primo componente all’interno della ferita e limita la dispersione degli antibiotici azzerando il possibile danno all’ecosistema marino e previene l’attacco di tutti i patogeni esterni.
Il test ha previsto una prima sessione in acquario, ma successivamente tutta una serie di analisi e monitoraggi direttamente in mare. Abbiamo delle strutture galleggianti posizionate a circa 8-10 metri di profondità, una sorta di stendini giganti a cui possiamo appendere i nostri coralli e monitorarli di settimana in settimana in merito agli studi che stiamo facendo”.