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Tratto dal podcast
Prisma di ven 26/06
Coronavirus | 2020-06-26
Oggi i quotidiani italiani mettono in rilievo i nuovi focolai identificati da una parte all’altra dell’Italia e la curva del contagio che, per la prima volta da settimane, torna lievemente a risalire. Ne abbiamo parlato con Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di medicina molecolare dell’Università di Padova, convinto che in questa fase la migliore strategia sia quella di tracciare in modo massiccio i contagi.
L’intervista di Roberto Maggioni a Prisma.
Lei cosa pensa di quanto sta succedendo?
Questa era una situazione ampiamente prevedibile e penso di averne già discusso in diverse occasioni. Il futuro sarà caratterizzato da piccoli focolai che verranno poi contenuti con piccole zone rosse, che è esattamente quello che sta accadendo.
Quanto dobbiamo preoccuparci di questi piccoli focolai?
Dobbiamo essere prudenti e sicuramente le dichiarazioni di alcuni colleghi dei giorni scorsi non vanno in questa direzione, perchè possono essere manipolate e strumentalizzate per dare l’idea che il virus non c’è più. Sicuramente questa è la notizia che tutti stiamo aspettando, io per primo, ma non siamo ancora giunti in questa fase. Questa è la realtà.
In questi giorni si sta dibattendo molto sulla contagiosità. In Lombardia la Regione ha diffuso dei dati secondo i quali oltre la metà dei nuovi pazienti risulta avere un tampone “debolmente positivo“. Cosa significa?
Bisogna guardare in faccia la realtà. Sicuramente la maggior parte di queste persone sta bene e non ha sintomi, abbiamo una diminuzione costante dei ricoveri e assistiamo anche ad uno svuotamento delle rianimazioni. Su questo non c’è dubbio, ma ci chiediamo: queste centinaia di positivi che riscontriamo ogni giorno devono per forza essere originati da asintomatici, altrimenti non si capisce da dove vengono. La realtà è che purtroppo gli asintomatici trasmettono e in questa situazione trasmettono una carica virale bassa che poi si manifesta con una sintomatologia molto blanda o addirittura totale assenza di sintomatologie, ma dire che gli asintomatici non trasmettono il virus deve essere dimostrato e, in modo particolare, bisogna dare una risposta alla provenienza di questi nuovi casi.
Cosa consiglierebbe di fare in questa fase?
Bisogna moltiplicare gli sforzi per tracciare tutti i contagi di queste persone positive, capire se tra i vari contatti ci sono altre persone positive. Bisogna interrompere la catena di contagio e penso che questa sia un’occasione unica perché siamo reduci da tre mesi di lockdown e con una trasmissibilità molto ridotta. Questo è il momento di aggredire il virus in maniera massiccia.
Però bisogna anche saper comunicare questi dati, perché noi cittadini ci troviamo di fronte a titoli e interpretazioni spesso contrastanti.
La carica virale è sicuramente più bassa rispetto a prima, su questo non ci sono dubbi, ma la carica virale non rimarrà bassa se continuerà la trasmissione. Alcuni errori che stiamo facendo adesso ci vengono perdonati dalle condizioni climatiche, ma in autunno e in inverno non sarà più così.
Cosa dovremmo fare per prepararci?
Adesso dobbiamo aggredire in maniera consistente e senza esitazione ogni singolo caso, va fatto il tracciamento e va capito se i suoi parenti o i colleghi di lavoro sono positivi. Bisogna spezzare la catena di trasmissione dei contagi, perché i 300 casi al giorno che abbiamo da settimane sono trasmessi da qualcuno, non si auto-generano. Siccome non abbiamo persone che stanno male e che vanno in rianimazione, è chiaro che questi casi vengono trasmessi da persone che stanno bene. Bisogna individuare queste persone, perché solo così arriveremo preparati all’autunno: più casi avremo, più alto è il rischio che riparta l’epidemia.