Le mafie si approfittano della crisi e della pandemia, l’allarme è stato lanciato più volte. Con i lockdown i reati generici sono calati, mentre la direzione investigativa antimafia segnala una densa attività per accaparrarsi commesse, appalti e persino sussidi, da parte della criminalità organizzata. Poi c’è l’usura, l’estorsione e l’acquisto di aziende in crisi per riciclare denaro e infiltrare l’economia. Lo spaccato di quello che sta succedendo in Lombardia, con l’annuncio di inchieste in arrivo proprio sulla sanità, ce lo offre Piergiorgio Samaja, Capo centro operativo di Milano della Direzione Investigativa Antimafia.
La porta è anonima, l’edificio è da qualche anno pubblico, perché prima pagavano l’affitto, il cartello è inequivocabile: Direzione investigativa antimafia, Centro operativo Milano. Dentro ci sono uomini e donne dei corpi dello Stato, per lo più al computer guidati dal colonnello Piergiorgio Samaja, il Capo. Siamo venuti per chiedergli se la pandemia è stata un’occasione per le mafie, come e quanto il loro lavoro si sia intensificato in questi mesi. Per risponderci, il capo della Dia Lombarda parte da quello che fanno.
Le attività della Dia si dividono in due categorie: le investigazioni preventive, essenzialmente un’analisi cartolare, e quelle giudiziarie. Nella prevenzione c’è l’analisi criminale su quello che fanno sul territorio le organizzazioni di stampo mafioso, la prevenzione, svolta sotto l’egida dei prefetti per evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia sana, come le interdittive anti-mafia, strumento potente e temuto da chi lo subisce, e terza attività l’aggressione patrimoniale delle ricchezze della criminalità, con sequestri e confische definitive. Sono provvedimenti preventivi, non serve una condanna. L’analisi è un lavoro fondamentale, che la Dia fa da vent’anni nel suo ruolo di polo gravitazionale informativo di tutte le indagini svolte sulla criminalità organizzata. Ogni sei mesi, abbiamo il compito di redigere una relazione per il capo della polizia e per l’autorità politica.
L’ultima resa pubblica è la relazione del primo semestre 2020, in cui la magistrata a capo della Direzione distrettuale antimafia della Lombardia, Alessandra Dolci, sollevava proprio l’interesse delle mafie per i sussidi a pioggia dello Stato, ma la vera partita si gioca su altri settori e qui, anche se non può svelare le indagini in corso, il colonello Samaja ci fornisce una indicazione più che chiara. La sanità.
A aprile 2020 abbiamo redatto un documento di analisi con i possibili scenari nei quali la criminalità organizzata si sarebbe potuta infiltrare. Tutto quello che avevamo previsto, si sta puntualmente realizzando. Era facile intuire che la criminalità organizzata si sarebbe infiltrata in tutti gli appalti per l’acquisto di generi di protezione, come gel e mascherine, di pulizie, di sanificazione. I funerali. Soltanto un numero: per il 2021 il bilancio della Regione Lombardia nel complesso ha destinato alla sanità circa 20 miliardi di euro. Quattro quinti del bilancio, sono, da sempre, dedicati al settore sanità. Ovvio che sia il settore a cui è più interessata la mafia. Non magari agli appalti miliardari, ma a quelli più bassi, dove c’è meno valore aggiunto. Come per esempio le cooperative che si occupano di pulizie. I risultati giudiziari cominciano a esserci, ma arriveranno sempre più nei mesi a seguire.
Quindi dobbiamo aspettarci annunci di inchieste della Dia in campo sanitario. E qui tremano le vene ai polsi pensando a quello che abbiamo già visto. Ma non solo. Nei primi sei mesi di pandemia la questura di Milano ha registrato un calo dei reati del 30%, con l’eccezione di usura, estorsioni, riciclaggio e della violenza di genere di cui non si occupa la Dia. Secondo i risultati di un questionario della camera di commercio di Milano, Monza e Brianza: un imprenditore su quattro dichiara di aver avuto offerte in denaro o proposte di acquisto anomale per la sua attività. Mentre il Procuratore della Repubblica di Brescia, Francesco Prete, viene citato proprio dalla relazione semestrale antimafia che parla di un desolante spaccato sempre più ricorrente nei rapporti tra imprenditoria, liberi professionisti e criminalità organizzata. “Una parte degli imprenditori – scrive il magistrato – benché messa in guardia dai rischi connessi, non riesce a resistere alla tentazione di fare affari con le organizzazioni criminali, ed anzi, qualche volta le cerca”. Gli strumenti per seguirli ci sono. Mancano le denunce, semmai.
Abbiamo anche database incredibili, come l’anagrafe dei conti correnti. Basta un codice fiscale per avere tutti i conti, intestati e cointestati, e le segnalazioni per le operazioni sospette. Per noi è una miniera di informazioni fondamentali, per seguire i soldi. Sembra ingenuo, ma è così: il crimine non deve pagare. Quarant’anni fa sembrava una rivoluzione, oggi è normale. Faccio un altro esempio, l’Agenzia delle Entrate italiana ha un patrimonio di dati, miliardi di dati, in Europa siamo all’avanguardia. Su ogni persona abbiamo i vent’anni precedenti: chi non ha nulla da nascondere non dovrebbe avere problemi a usare la carta di credito, fare un bonifico, sapere che la pubblica amministrazione può andare a vedere i suoi denari. Bisogna rendere la vita difficile a chi vive di contanti e di lavoro nero. Ma deve essere una questione condivisa da tutta la società. Il cittadino deve denunciare, anche tramite la propria associazione di categoria. A noi non interessa da dove arriva la denuncia, interessa che arrivi. Così possiamo investigare.
Denunciare, va bene, ma anche proteggere i settori che oggi sono in crisi, aiutarli a non trovarsi in una condizione disperata, su questo gli investigatori possono fare poco ma due cose ce le dice il colonnello Samaja, una che riguarda il credito e un’altra il codice d’appalti.
L’usura ha un’alta cifra nera, moltissimi episodi non vengono denunciati. Purtroppo tra usurato e usurante si crea anche un vincolo psicologico: c’è vergogna e paura. Bisognerebbe fare in modo che la criminalità non possa più approfittare della crisi economica, per esempio garantendo che il credito possa continuare ad arrivare agli imprenditori nei momenti più difficili. Con degli incentivi alle banche, per esempio una moratoria sugli interessi. E poi c’è il codice degli appalti, un mastodontico testo unico, quasi impossibile. Bisogna semplificarlo. Ma non devono venire meno i controlli: l’abbiamo visto, quando vengono meno i controlli antimafia basta un secondo: la mafia è come l’acqua, si insinua in tutti gli spazi vuoti.
In questi vuoti le mafie si infilano, soprattutto ‘ndrangheta in Lombardia che conta 25 locali ovvero diramazioni di clan calabresi sul territorio, mappate, conosciute, mafia e camorra, continuano a esserci in posizione meno dominante, così come le mafie straniere. Ma perché non si riesce a debellarli?
L”ndrangheta in Lombardia non c’è da dieci anni, ma da settanta. Siamo alla seconda, se non alla terza generazione. Nell’opinone pubblica la consapevolezza è arrivata con l’indagine Crimine Infinito nel 2008-2010. Le mafie, sempre tese a massimizzare i loro profitti criminali, li trasformano in risorse spendibili sul mercato: in Lombardia hanno trovato un settore per loro ideale. Il settore terra, tradizionalmente, la filiera dei rifiuti, completamente infiltrata. Sappiamo chi sono le famiglie, i personaggi di riferimento, sono sempre monitorati. Non è che in Lombardia, nel Nord Italia, le mafie non hanno più la componente di violenza tradizionale, ma questa componente è diminuita, quella di corruzione è aumentata. E’ un cancro che si insinua e che rimane sottotraccia. Nella pubblica opionione l’omicidio fa scalpore, la corruzione purtroppo no. Se ci fosse una Tangentopoli ora, non ci sarebbe quella attenzione delle coscienze che invece c’era stata all’inizio degli anni Novanta.