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Tratto dal podcast
Prisma di lun 21/09
Coronavirus | 2020-09-21
Il professor Massimo Galli, direttore del reparto malattie infettive 3 dell’Ospedale Sacco di Milano, fa il punto a Radio Popolare sulla pandemia di COVID-19 in Italia, i numeri e i veri indicatori della situazione, ma anche il confronto con Paesi vicini al nostro come la Francia, la Spagna o il Regno Unito.
Intervista al microfono di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni nella trasmissione Prisma.
I numeri del COVID-19 non stanno variando moltissimo di giorno in giorno. Si può notare una tendenza?
Più che una tendenza, che non è certo a decrescere, si può dire che tutte queste infezioni sono ben successive al lockdown, probabilmente con un’espansione legata ad un’estate un po’ troppo frizzante nei comportamenti – e questa non è una banalità, ma una certezza – e con qualche indicatore che ci parla di infezioni secondarie riportate in famiglia o in contesti che hanno coinvolto anche persone che cominciano ad essere meno giovani di quanto ci si aspetta siano i vacanzieri che hanno raggiunto le località più alla moda o con maggiore attività di divertimento durante l’estate.
Cominciamo a vedere persone positive con un’età media che sale e questo allarma soprattutto per quanto attiene la necessità di accogliere molti di loro in ospedale e di dover riscontrare una serie di decessi: dal 1° luglio ad oggi in Lombardia ci sono stati circa 270 i decessi. Questo ci dice che probabilmente i prossimi 15 giorni saranno fondamentali per capire cosa è successo dopo la ripresa di molte attività, dalle scuole alle elezioni, tutti fenomeno che hanno mosso persone e che hanno potuto, almeno in teoria, causare possibili problemi.
Se dopo i prossimi 15 giorni ne verremo fuori con un trend non in crescita e senza grossi focolai, probabilmente ci andrà meglio di quanto minacci di andare in Francia, Spagna o Regno Unito, dove stanno parlando di chiudere parti importanti del Paese. Israele ha deciso per tre settimane di lockdown e non è certo un Paese disorganizzato dal punto di vista delle emergenze, forse il più organizzato del Mondo. E questa è una lezione importante.
Un fattore da tenere in considerazione è quello dei nuovi positivi o quell’indice RT che abbiamo imparato a conoscere nei mesi più gravi della crisi?
Il fattore da tenere davvero in considerazione è il grado di pressione che possono avere gli ospedali per nuovi ricoveri di pazienti. Ammetto che lavorando in uno di questi terminali, è l’arrivo di nuovi pazienti non legati a focolai più noti che polarizza la mia attenzione, anche perché coi numeri che abbiamo e che ci vengono dati, abbiamo davvero meno infettati rispetto alla Francia o alla Spagna o questo accade perché facciamo meno test? Oppure è perché i numeri che ci vengono dati non sono spesso “purgati” dalle seconde, terze o quarte determinazioni che vengono fatte in persone già positive al tampone? Sono tanti gli aspetti per cui alla fine credo che l’indicatore forte siano i pazienti in pronto soccorso.
Guardando dati dei grandi Paesi europei vicini all’Italia ci si sente un po’ accerchiati e ci si chiede se finirà così anche da noi.
Dipende da come vengono cercati e da come vengono contati i positivi.
Non stiamo facendo più tamponi?
Sì, ma non ancora abbastanza. Ma credo che un’altra questione strategica nell’ambito di un potenziamento della medicina sul territorio sia che gli strumenti di rilevazione siano sempre più agili e pronti nelle mani degli operatori. Io sono sempre stato un sostenitore dei cosiddetti test point-of-care, quelli che si possono fare sui pazienti che stanno benone e che includo i test pungidito e i tamponi rapidi che danno una risposta in 15 minuti. Ormai siamo tutti d’accordo sul fatto che il grande numero e la rapidità finiscono per superare di gran lunga le capacità e la risposta dei test con un’attesa temporale decisamente più lunga e che si riescono a fare in misura numericamente assai inferiore. I test rapidi ti danno risposte rapide e in larga misura precise. Se vuoi perseguire sempre il meglio, rischi di fare male al bene.
(Potete ascoltare l’intervista a partire dal minuto 26)