Se leggiamo l’editoriale pubblicato dal settimanale satirico nel numero speciale uscito oggi in edicola, innanzitutto la solidità delle idee di chi lo faceva. Indistruttibili e universali, come titola il direttore Riss nel suo editoriale.
“Oggi”, scrive il disegnatore sopravvissuto all’attacco, “i valori di Charlie Hebdo, come l’umorismo, la satira, la libertà di espressione, l’ecologia, la laicità, il femminismo, per citarne solo alcuni, non sono mai stati così messi in discussione. Forse perché è la democrazia stessa ad essere minacciata da rinnovate forze oscurantiste. La satira ha una virtù che ci ha aiutato a superare questi anni tragici: l’ottimismo. Se vogliamo ridere, è perché vogliamo vivere. Risate, ironia, caricatura sono manifestazioni di ottimismo. Qualunque cosa accada, drammatica o felice, la voglia di ridere non scomparirà mai.”
Se guardiamo al sondaggio realizzato per questo numero speciale, che si chiede se la società francese sia ancora Charlie, ci sono diversi dati rassicuranti.
Il diritto all’humour e alla blasfemia hanno guadagnato terreno nell’opinione pubblica. Per il 76% dei francesi, la libertà di espressione e di caricatura sono dei diritti fondamentali. Tre anni prima dell’attentato a Charlie lo pensava solo il 58%. In numeri assoluti, meno persone, l’11% in meno rispetto al 2012, credono che non si possa dire e ridere di tutto in nome della libertà di espressione. Le cose si complicano quando analizziamo le cifre più da vicino. In particolare, sono i più giovani e le minoranze a mettere i puntini sulle i. Tra chi ha meno di 35 anni, un terzo degli intervistati sostiene che NON si possa dire e ridere di tutto. Contro solo un quinto dei più vecchi. Sempre i più giovani apprezzano largamente la recente decisione del New York Times di non pubblicare più caricature.
Leggendo i tanti reportage, interviste, editoriali pubblicati in questi giorni, si percepisce che se per ora i terroristi non hanno vinto, se per ora Charlie Hebdo è ancora vivo, la società francese è in realtà profondamente fratturata. E i dibattiti sui temi come la laicità e la libertà di espressione prendono facilmente una forma conflittuale, che rimanda a divisioni generazionali e comunitarie. “L’autocensura aumenta”, “L’eredità dei valori illuministi si rivela fragilissima”, scrivono gli editorialisti. Lo slogan “Io sono Charlie” lascia posto a un certo relativismo e non è più un tabù dire che oggi non si scenderebbe in piazza in nome di quella frase. Contro la barbarie, sì, ma per Charlie? Forse.
lAl di là del dovere di memoria verso le vittime, in fondo, dieci anni dopo quello che rimane è forse soprattutto la constatazione che c’è ancora e ci sarà ancora molto lavoro da fare, quotidianamente, per preservare certi valori. E soprattutto per fare in modo che si possa continuare a comunicare e a vivere insieme nonostante le differenze. Se possibile, facendosi anche qualche sana risata.