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Cosa prevede la riforma fiscale allo studio del governo?

Roberto Gualtieri - Risarcimenti COVID

Cosa prevede la riforma fiscale che il governo di Giuseppe Conte sta studiando in queste settimane? Ne abbiamo parlato con Alessandro Santoro, docente di scienze delle finanze all’Università degli Studi di Milano Bicocca.

L’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni a Prisma.

Cosa hanno in mente il governo e il Ministro Gualtieri in particolare?

Questo è un argomento che torna. Il governo aveva già avviato un tavolo di riforma dell’Irpef lo scorso autunno che poi si era interrotto a seguito dalla crisi e che ora sta riprendendo un po’ il filo. Nel Pnr ci sono diversi accenni che tengono insieme due elementi: la riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro e un incremento degli strumenti di tassazione ambientale. Questo compare anche nella parte iniziale del Pnr, nel messaggio di introduzione al testo del Ministro Gualtieri e ritorna nel testo in diversi passaggi. L’ipotesi che sembrerebbe poter affiorare è quella di una riforma nella quale ci si pone l’obiettivo di spostare il carico fiscale dal lavoro e dai redditi d’impresa ai consumi e alle produzioni ambientalmente dannose. Questo anche alla luce di ciò che sta accadendo in Europa, dove star per essere varata una direttiva europea sulla tassazione ecologica che, tra le altre cose, potrebbe prevedere l’introduzione generalizzata di una carbon tax che oggi esiste solo in alcuni Paesi europei.

Nel documento torna anche il taglio dei sussidi dannosi per l’ambiente. Quanti sono?

I SAD, i sussidi ambientalmente dannosi stilati dal Ministero dell’Ambiente sono di diverso tipo e uno dei più noti è la differenziazione del livello di accisa tra il gasolio e la benzina: il gasolio, considerato un carburante generalmente più inquinante rispetto alla benzina, ha delle accise più basse.

Finisce l’epoca in cui converrà avere il diesel?

Potrebbe finire, ma in realtà se ne parla da tantissimo tempo. Nella legge di bilancio c’è scritto che dovrebbe finire addirittura prima del 2025, a colpi del 25% all’anno dal 2021, pari a circa 4-5 miliardi l’anno. Questo in teoria. Questo viene ripetuto nel Pnr, ma ripeto che era già stato preso come impegno nella legge di bilancio. C’è un gruppo di lavoro e ci sono diverse ipotesi allo studio, ma è chiaro che ci sono anche delle problematiche politiche. Tra i sussidi ambientalmente dannosi, ad esempio, ci sono dei sussidi all’autotrasporto, un settore delicato perché in passato quando si sono tentate manovre su questo fronte ci sono sempre state delle forti proteste. Non è una riforma che si può implementare da sola. Prendiamo l’esempio delle accise: se in quel settore vado ad aumentare l’accisa sul gasolio si scarica tutto sul prezzo finale e quindi sul consumatore finale. Devono essere previsti dei meccanismi di ammorbidimento dell’impatto di questa giusta ed efficiente riforma fiscale. Da qui l’idea di accoppiarla con una riforma dell’IRPEF o con altre riforme che riducano il carico fiscale.

Oggi la viceministra dell’economia e delle finanze Laura Castelli in un’intervista a La Stampa parla anche della rimodulazione dell’Irpef. Dalle informazioni in suo possesso cosa può dire?

Se si interviene sull’Irpef si interviene per tutti i contribuenti, i primis per i lavoratori dipendenti che sono più della metà dei contribuenti. Credo che il viceministro volesse dire che è stato fatto un lavoro specifico sul lavoro dipendente, il cosiddetto trattamento integrativo che è entrato in vigore il 1° luglio, mentre adesso bisogna fare un intervento generale. L’ipotesi delle tre aliquote è un’ipotesi che è sul tavolo da parecchio tempo e fa parte delle proposte del Movimento 5 Stelle, ma non è l’unica. Queste, però, sono tecnicalità. Il modo per raggiungere l’obiettivo può essere cambiare gli scaglioni, cambiare le aliquote o anche introdurre un sistema alla tedesca con un’aliquota che varia nel continuo in base ad una formula. Al di là di queste tecnicalità, il viceministro fa riferimento al fatto che, mentre da un lato si discute di riforma Irpef, dall’altro è stato varato il cosiddetto Family Act che contiene l’ipotesi di assegno che adesso viene chiamato universale e che dovrebbe accorpare da un lato gli assegni familiari già esistenti dell’Inps con le detrazioni per i carichi familiari, basati sul reddito del singolo contribuente. Nella riforma c’è scritto che vengono accorpate: le detrazioni per i carichi familiari escono dall’Irpef ed entrano in questa dotazione di risorse di questo nuovo strumento, che deve essere universale. Oggi sostanzialmente gli assegni familiari vengono percepiti solo dai nuclei dove il reddito prevalente è da lavoro dipendente. Un nucleo in cui il reddito da lavoro autonomo rappresenta più del 30% non prende l’assegno familiare. E qui si parla invece di assegno universale in cui questa disparità verrà superata.
La cosa importante, però, è che questa riforma venga fatta insieme alla riforma dell’Irpef, perché altrimenti non si governano gli effetti e diventa politicamente un boomerang enorme: se la mano sinistra non sa cosa fa la mano destra e poi tutte e due le mani finiscono sullo stesso contribuente è un problema.

Che categorie sociali beneficerebbero di questa riforma dell’Irpef?

Dipende da come la si fa. Nel Pnr si fa un esplicito riferimento ai redditi medi. Visto che l’intervento precedente è stato fino a 40mila euro, credo che l’idea sia beneficiare la fascia appena superiore. Poi in un sistema sia ad aliquote continue sia a scaglioni, per creare benefici per i redditi superiori bisogna creare benefici anche per i redditi inferiori: non si può farlo solo per un pezzo, a meno di intervenire solo sul terzo scaglione – quello che ha l’aliquota al 38% – e in questo a beneficiarne sarebbero solo i redditi che vanno da 27mila a 55mila euro. Questa è un’altra un’altra ipotesi.

Nel Pnr c’è anche qualcosa sull’evasione fiscale?

Ci sono alcuni passaggi, uno in particolare che forse per la prima volta evoca la questione di cui tante volte si è parlato: la privacy, cioè la necessità di riuscire a superare gli ostacoli che la legge sulla privacy pone all’utilizzo del pieno delle banche dati. È un passaggio molto prudente perché la materia è delicata e politicamente sensibile, ma questo passaggio conferma il fatto che i controlli continueranno e che non ci saranno condoni.

(Potete ascoltare l’intervista a partire dal minuto 5)

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