“Tratteremo il coronavirus come se fosse il colera”, era il primo febbraio quando il ministro della Salute, Roberto Speranza pronunciò queste parole. A rileggerla oggi, con gli occhi del poi, in quella frase c’era già tutto.
L’impegno del governo nella gestione dell’emergenza è stato totale. Quando il governo afferma che mai uno sforzo più grande fu compiuto, ha ragione. Oltre l’emergenza però, non si è riusciti ad andare.
Si è puntato tutto sulle misure fisiche, vecchia maniera, come ai tempi del colera. Gli italiani sono stati due mesi chiusi in casa e oggi possono uscire ma con le limitazioni che conosciamo. Le mascherine, le distanze, il contenimento della vita sociale.
Secondo Conte, è un modello che tutto il mondo ha copiato. Sarà.
Senza dubbio, l’Italia non ha copiato il modello di paesi come la Corea del Sud, dove è stata la tecnologia a dare i risultati maggiori. “La fase 2 sarà fondata su Test, Tracciamento, Trattamento” dissero i rappresentanti dei comitati scientifici che hanno consigliato il governo. La fase 2, a maggio, è iniziata senza nulla di tutto questo.
La dichiarazione dello stato d’emergenza è del 31 gennaio. Da allora, lo Stato non è riuscito nemmeno a fornire a tutti gli italiani le mascherine promesse. Ce le siamo dovute procurare da soli. La famosa App immuni è sparita. I test sierologici sono affidati alle regioni e tutti vediamo cosa accade in Lombardia, ad esempio. Sul fronte delle cure a domicilio, della medicina del territorio, nulla è cambiato.
Sono mancanze gravi cui si è cercato di porre rimedio con il richiamo alla responsabilità dei cittadini, a volte con il buon senso, a volte con il paternalismo, a volte con pasticci come la storia dei congiunti che si potevano andare a trovare.
A un governo nato per caso, figlio del delirio del Papeete di Salvini, composto da partiti così diversi, il cui collante è la paura del nemico, forse non si poteva chiedere di più. O forse sì.
Si poteva chiedere, e si può continuare a chiedere, di comportarsi come ai tempi del colera, appunto. Quindi fare un salto e trovare nuovi equilibri. Non è stato così sul Mes, i soldi per la sanità che non riusciamo a farci dare per le divisioni tra Pd e 5 Stelle. Rischia di non essere così sui soldi del recovery fund che arriveranno visto che già si levano proposte bizzarre, tipo usarli per abbassare le tasse.
La macchina burocratica non sta funzionando al meglio, in troppi i soldi non li hanno ancora visti e la rabbia cresce. Emergono nella crisi i limiti del sistema. Come sulla scuola. In altri Paesi è già ripresa. Da noi riprenderà a settembre, promette la ministra, ma ancora non ci sono le assunzioni e gli adeguamenti strutturali necessari.
I ritardi italiani non sono stati superati con il Covid: lo sforzo finanziario fino a qui è stato importante. Soldi usati per tappare le falle. Per cercare di arginare l’impatto della crisi. Non basta e rischia di non servire. I soldi che arriveranno dovranno essere l’occasione per un grande piano strategico di rilancio. Magari quel green new deal enunciato e mai applicato. Perché il bonus bici va bene, ma è un’altra la scala di cui l’Italia ha bisogno. Su questo si misurerà il fallimento o il successo del governo Conte.