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Tratto dal podcast
Coronavirus in Lombardia (prima parte)
Coronavirus | 2020-02-21
Radio Popolare segue in diretta l’evoluzione delle misure di prevenzione messe in campo dalle istituzioni. Per tutti gli aggiornamenti visitate la pagina dei podcast dei nostri notiziari.
domenica 23 febbraio
Nel microfono aperto di questa mattina abbiamo fatto il punto della situazione con Vittorio Agnoletto che ha risposto ad alcune domande tra le più frequenti tra quelle che ci giungono dagli ascoltatori. Ne abbiamo prodotto una sintesi scritta.
Perché quella in corso non è una pandemia?
La pandemia è una situazione di epidemia che coinvolge tutto il mondo superando qualunque confine. Ha delle conseguenze precise per quanto riguarda l’OMS, che dichiara l’esistenza di una pandemia quando si è in presenza di una nuova infezione a cui l’organismo umano non è in grado di rispondere, con alto numero di malati e di decessi. Questo comporta ad esempio l’abbreviamento dei tempi di trial clinici per trovare nuovi farmaci o vaccini e ne viene facilitata la messa in commercio, con i rischi che tutto questo comporta (per esempio effetti collaterali non ancora studiati bene). Insomma per la pandemia scattano una serie precisa di misure: finora non c’è stata questa dichiarazione da parte della OMS e tanto meno siamo di fronte a una situazione di questo tipo in Italia.
Il coronavirus ha un alto tasso di viralità ma un basso tasso di mortalità: è un’affermazione corretta?
E’ proprio così, tanto è vero che rispetto all’alto numero delle persone infettate nella stessa Cina, il numero dei decessi rispetto a quello degli infettati, è contenuto. Cominciano anche a essere diverse migliaia le persone che in Cina sono state dichiarate guarite. Non c’è ombra di dubbio che una normale influenza stagionale, quella che di solito si sviluppa nel tardo autunno e nell’inverno, produce un numero molto più alto di decessi in Italia, Europa e nel mondo, rispetto all’infezione da coronavirus, per lo meno fino a questo punto.
Su quali dati si basano gli studi che abbiamo a disposizione?
Proviamo a ricapitolare la situazione: stiamo parlando di un virus comparso recentemente, cioè nuovo, verso il quale l’organismo umano non ha difese, verso il quale non ci sono farmaci ad hoc e verso il quale non c’è e non ci sarà in tempi brevi un vaccino. Questo virus ha un’alta potenzialità di infezione e una bassa percentuale di letalità. La mancanza di un vaccino e di farmaci mirati rende evidente che occorre puntare sulla prevenzione. L’influenza stagionale in assoluto produce più morti, ma esistono medicine consolidate per contrastarla, l’infezione da coronavirus ha mortalità bassa, ma non ci sono strumenti farmacologici in grado di bloccarla, quindi le strategie di prevenzione sono fondamentali. Senza crisi di isteria collettiva e allarmismo ingiustificato, è evidente che nodo centrale diventa la prevenzione e allora emerge il ruolo importante dei sindaci, che in base alla legge 833 del 1978 sono i responsabili ultimi della salute dei cittadini del proprio territorio. Aggiungiamo anche che la partecipazione dei cittadini con la loro condotta al tentativo di bloccare o ridurre l’impatto di un’infezione è fondamentale ed era proprio prevista dalla riforma sanitaria del ’78 appena citata, una norma scaturita da grandi movimenti collettivi e che dà un ruolo attivo alla popolazione. Quando si parla di prevenzione primaria è fondamentale la collaborazione tra tecnici e cittadini. Per esempio la chiusura delle scuole a Milano (poi estesa a tutta la Lombardia ndr), in una situazione di non epidemia, ha un significato precauzionale di questo tipo: non va interpretata come un segnale di rischio d’infezione per i bambini. Il coronavirus colpisce molto poco i bambini e i dati che arrivano dalla Cina parlano di nessun caso di decesso di bambini.
Perché in Italia ci sono più casi che in ogni altri Paese europeo?
E’ difficile dirlo, si può partire da due considerazioni banali: da un lato non si è riusciti a individuare il “paziente zero” e quindi non si è riusciti a intervenire sulla catena di trasmissione e poi l’altro aspetto è che tra le prime persone infettate dal “paziente 1” ci sono personale sanitario e altri pazienti. Il vulnus italiano non è tanto nell’organizzazione generale, bensì nelle indicazioni per gli operatori sanitari nei prontosoccorsi: la metà dei primi quindici casi coinvolgono pazienti ricoverati e personale medico delle strutture della zona del Basso Lodigiano. La struttura sanitaria italiana è ridotta ai minimi termini per quanto riguarda gli interventi di primo livello: servizi territoriali e meccanismi di prevenzione soffrono di carenza di personale. La falla è individuabile a questo livello.
Coronavirus in Lombardia: è cruciale individuare il paziente zero
venerdì 21 feebbraio
Il coronavirus COVID-19 è arrivato in Lombardia. Dopo i tre casi confermati a Roma nelle ultime tre settimane, due turisti giunti in Italia dalla Cina e un cittadino italiano rientrato da Wuhan, ieri sera è emerso un focolaio alle porte di Lodi. Sei i casi accertati nelle prime ore di oggi, diventati poi 14 nel corso della giornata.
Non ci sono ancora certezze sul paziente zero, la persona da cui avrebbe avuto origine il focolaio di Codogno, ma il primo caso accertato è quello di un 38enne dipendente della Unilever di Lodi, ora ricoverato in terapia intensiva presso l’ospedale di Codogno.
Gli altri casi accertati di COVID-19 sarebbero legati al 38enne: sua moglie, all’ottavo mese di gravidanza, il titolare di un bar di Codogno, amico dell’uomo e suo compagno di gare di corsa che a sua volta avrebbe contagiato tre clienti del bar. A questi si aggiungono cinque operatori sanitari dell’ospedale di Codogno e pazienti già ricoverati nella struttura. Altri due casi sono stati confermati in Veneto: due pensionati settantenni di Vo’ Euganeo, in provincia di Padova.
Il presunto paziente zero potrebbe essere un amico del 38enne, rientrato dalla Cina alla fine di gennaio. I due avevano cenato insieme proprio alla fine del mese scorso, poi l’uomo avrebbe avuto un lieve febbre dal 1° all’8° febbraio e si sarebbe ripreso senza particolari cure. L’uomo è già stato rintracciato e un primo test per verificare l’infezione da COVID-19 in corso è risultato negativo.
Questo, però, non significa che l’uomo non sia il paziente zero, come spiegato ai microfoni di Radio Popolare dal medico Vittorio Agnoletto:
È importante individuare il paziente zero perché se sappiamo da dove è partita questa infezione in Italia riusciamo più facilmente a ricostruire la catena dei contatti, individuare quelli positivi, riprendere il conto dei nuovi contatti per ogni positivo e via dicendo. Se non si sa qual è il paziente zero, non si sa il punto di partenza. Sull’ipotetico paziente zero bisognerà verificare se sono presenti o meno gli anticorpi. Il virus può scomparire, ma gli anticorpi rimangono. Se si individuano gli anticorpi possiamo dire di avere individuato il paziente zero, che ha superato l’infezione con una modalità asintomatica, come è accaduto per molteplici casi in Cina. Se, invece, non si dovessero trovare gli anticorpi, bisognerebbe ricominciare la ricerca per ricostruire la catena dei contatti e attuare gli interventi sanitari.
Nel corso di una conferenza stampa al Palazzo della Regione è stato confermata l’attivazione di un tavolo di coordinamento regionale e di un gruppo di lavoro permanente all’ospedale di Codogno, dove sono ricoverati quasi tutti i pazienti risultati positivi al COVID-19 e l’assessore regionale alla Sanità Giulio Gallera ha invitato tutti i cittadini di Castiglione d’Adda, Codogno e Casalpusterlengo “a rimanere in ambito domiciliare e ad evitare contatti sociali a scopo precauzionale“.
L’obiettivo della Regione Lombardia è quello di trasferire tutti i pazienti positivi al coronavirus all’ospedale Sacco di Milano, il più attrezzato della regione a gestire un’emergenza del genere. Questo, però, non sarà possibile nell’immediato per tutti i pazienti. Almeno cinque, incluso il 38enne di Codogno, non sarebbero in condizioni compatibili con il trasferimento in un’altra struttura.
I sindaci dei tre comuni direttamente coinvolti – Castiglione d’Adda, Codogno e Casalpusterlengo – si stanno adoperando con ordinanze per disporre la chiusura di negozi, scuole ed uffici, ma anche per limitare la distribuzione di alimenti e bevande al pubblico. Al vaglio ordinanze simili anche per altri cinque o sei comuni della provincia di Lodi, ma tutto sarà più chiaro col passare delle ore.
L’invito ai cittadini è chiaro: quarantena volontaria. E, in casi di sintomi influenzali col coinvolgimento dell’appartato respiratorio e di frequentazioni legate a questo focolaio, contattare il 112 e spiegare la situazione. In nessun caso ci si deve recare in ospedale, al pronto soccorso o presso lo studio del proprio medico di base. A spiegare il perché è ancora una volta Vittorio Agnoletto:
Se una persona manifesta una sintomatologia influenzale col coinvolgimento dell’apparato respiratorio e ritiene di essere venuta in contatto con qualcuno di questa catena deve chiamare il 112. Rivolgersi al pronto soccorso significa rischiare di infettare altre persone che si trovano lì e il personale sanitario.
Foto dalla pagina Facebook dell’ospedale Spallanzani di Roma