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Coronavirus e la paura delle malattie: intervista allo psicologo Alessandro Bartoletti

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La paura delle malattie

Nei giorni in cui l’Italia sta affrontando l’emergenza da coronavirus COVID-19 è facile farsi prendere dalla paura e non riuscire a mantenere la calma nonostante le continue rassicurazioni delle autorità sanitarie e degli esperti. Come affrontare una situazione insolita come questa mantenendo la calma?

Lo abbiamo chiesto allo psicologo e psicoterapeuta Alessandro Bartoletti, autore insieme a Giorgio Nardone del libro “La paura delle malattie. Psicoterapia breve strategica dell’ipocondria“. L’intervista di Barbara Sorrentini a Cult.

Il tema della paura è da sempre presente nella mente di tutte le persone. La paura della morte è una di quelle paure primarie di cui non possiamo sottovalutare il valore evoluzionistico ed è quello che ci permette di sopravvivere.
Quando la paura della morte per una qualche forma malattia diventa un fenomeno di imprese clinico allora entriamo nel campo della psicologia e della psicoterapia. È uno di quei disturbi che affligge moltissime persone. Quello a cui stiamo assistendo in questo momento può essere definito in un altro modo: è un fenomeno di paura di massa. Tutta l’attenzione viene focalizzata su un unico fattore potenzialmente nocivo per la salute come può essere l’infettarsi con un virus.
Nel libro “La paura delle malattie” abbiamo descritto una serie di fattori che portano allo svilupparsi e al cronicizzarsi di questo tipo di paure. C’è ad esempio un fattore che ha che vedere con l’educazione familiare e il clima familiare. Immaginiamo una famiglia in cui si cresce con l’idea che è pericolo prendere un raffreddore o stare male: il bambino o la bambina crescono con questo continuo terrore e molto probabilmente svilupperanno nella prima giovinezza o dall’adolescenza in poi una polarizzazione molto forte nei confronti di tutto ciò che è collegato alla malattia. Oppure, una persona che sente ad un certo punto della sua vita una forte vulnerabilità del proprio corpo, ad esempio sviluppando una malattia grave da cui riesce poi a guarire.
Questo fattore è un altro fattore abbastanza tipico che può portare a sviluppare una cronicizzazione nei confronti della paura patologica delle malattie.
Ci sono altri due fattori invece strettamente collegati a ciò che stiamo osservando in questo momento, quello che possiamo definire come fattore vicario: non accade qualcosa direttamente a me, ma accade qualcosa ad altri. Il fattore vicario è quando entriamo in contatto con notizie particolarmente allarmanti relative ad eventi che avvengono ad altre persone. Noi stiamo assistendo a un fenomeno di questo tipo, una suggestionabilità di massa per fattore vicario. C’è anche un termine in psicologia, Effetto Werther, per descrivere ciò che avviene nelle persone quando si confrontano con una fortissima rilevanza mediatica data da una notizia, si suggestionano e si immedesimano. E se la notizia ha a che vedere con dei comportamenti posso anche arrivare a emularli.
Il nome viene da un episodio avvenuto due secoli fa dopo l’uscita de I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang Goethe. Il protagonista conclude tragicamente la sua esistenza sparandosi per un amore non corrisposto. Subito dopo ci fu un fenomeno emulativo in tutta Europa e si calcola che circa 2mila ragazzi non corrisposti emularono il gesto. Possiamo vedere questo Effetto Werther non soltanto nei comportamenti, ma anche nelle percezioni. Quindi abbiamo a che fare con una comunicazione mediatica estremamente focalizzata su un unico fenomeno, le persone si immedesimano. Ultimamente ci sono stati titoli estremamente allarmanti ed è ovvio che se leggo una cosa del genere le mie percezioni vanno di pari passo.
Per certi versi ci si dovrebbe chiedere il contrario: come mai le persone non si dovrebbero spaventare in un clima di questo tipo?

Come affrontare una situazione di questo tipo mantenendo la calma?

Due semplici indicazioni che posso dare hanno a che vedere con i comportamenti individuali. Se da una parte la comunicazione di massa ha un fortissimo effetto suggestivo, anche la comunicazione individuale produce lo stesso fenomeno. Nel nostro campo usiamo dire che la comunicazione costruisce la percezione. La comunicazione interpersonale e il modo in cui parliamo di un argomento è di per sé un amplificatore del segnale: più parliamo di qualcosa, più creiamo quel tipo di percezione. È un fenomeno puramente umano che funziona con tutto ciò che ha a che vedere con la gestione della paura. Se c’è qualcosa che mi terrorizza, più ne parlo e mi sfogo e gestisco meglio la mia paura. Allo stesso modo, però, è possibile che più parlo di qualcosa che mi spaventa e più amplifico dentro di me quel tipo di terrore. È come lanciare un grido di allarme in una cassa di risonanza: l’eco che mi torna indietro è infinito.

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    Redazione
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