In queste settimane di crisi in Italia legata all’epidemia di coronavirus COVID-19, con parte del Paese bloccato nel tentativo di limitare il più possibile la diffusione del virus, i romanzi in cui si parla di epidemie stanno recuperando posizioni nelle classifiche di vendita. Tra questi c’è anche “La Peste” di Albert Camus.
Ambientato nella città algerina di Orano negli anni ’40, “La Peste” di Camus ci racconta cosa accade quando la città viene sconvolta all’improvviso da un’epidemia di peste bubbonica. Cosa può insegnarci l’opera di Camus in questo periodo di emergenza? Claudio Agostoni lo ha chiesto a Yasmina Mélaouah, traduttrice dell’edizione de La Peste edita da Bompiani nel 2017 per il 70esimo anniversario dell’uscita del libro.
Credo che il contagio risvegli davvero l’irrazionale che c’è in tutti e metta in moto l’idea del male che può arrivare come una minaccia e che può colpire non tanto l’uomo, ma la comunità degli uomini. È questo ciò che si ritrova di più nel libro: l’idea di una comunità di uomini che devono mettere da parte la propria felicità individuale per lottare contro contro la minaccia del male. Credo sia questo che risuoni nei lettori che tornano a rileggere l’opera di Camus: ritrovare il senso di una comunità che lotta insieme. I protagonisti del romanzo sono davvero un pugno di uomini che si rimboccano le mani, dimenticano le differenze che si sono tra di loro e cercano di affrontare il male.
Quello che La Peste di Albert Camus può insegnarci, però, è qualcosa di molto semplice: la comprensione.
C’è una parte bellissima nel romanzo in cui il dottor Rieux chiede ad uno dei suoi compagni di lotta “cosa ti ha spinto a fare tutto questo se non credevi più in nulla?“. Lui dà una risposta meravigliosa: “La mia morale: la comprensione“. Io trovo che questa sia una parola cruciale sia per chi torna a leggere La Peste o lo fa per la prima volta, ma anche per noi che guardiamo con un occhio un po’ troppo sprezzante i nostri simili che si sentono vulnerabili. Forse questa comprensione di Camus è anche quella che bisognerebbe adottare per guardare ai propri simili in un momento in cui tutti i parametri e i punti di riferimento sono un po’ saltati e tutti ci sentiamo più vulnerabili.
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