
Ormai da qualche giorno alle 18 partono dai balconi e finestre di tante città canzoni amplificate per arrivare in tutte le case, servono a dare un senso di unità e di comunità all’isolamento imposto per vincere la sfida al coronavirus. E quasi sempre la play list termina con l’Inno di Mameli.
Può bastare solo questa immagine a mostrare un Paese che si sente unito in questa battaglia, un fatto altamente simbolico, un Inno per significare un’appartenenza comune. Ma spesso in queste settimane questo senso di battaglia condivisa è stata contraddetto, e l’unità di Italia si è frammentata in venti parti, le venti Regioni, dove ognuna ha avuto la tentazione e spesso ci ha provato di pensare a sé, a come proteggere i propri cittadini, come se si fosse tornati indietro di 160 anni, poco prima della nascita dello Stato italiano, quando ancora c’erano i confini interni.
E così per prima sono state le Marche ad annunciare solo tre settimane fa di voler chiudere le scuole, per conto suo, pronta ad essere seguita da molte altre. La centralità e l’autonomia: le regioni del Nord in grande sofferenza e convinte di non essere comprese dal resto di Italia e quelle del Sud, impaurite dall’arrivo di tanti residenti dal Nord, perché temevano il contagio e di non reggere con l’assistenza sanitaria negli ospedali perché la sanità al Sud ha molte più falle di quella del resto del Paese.
E’ stato necessario un decreto veramente unitario per ricompattare tutto, lo stop in tutta Italia di tutte le attività, da quel giorno sono ricomparsi i tricolori alle finestre e anche gli applausi ai medici e agli infermieri che stanno curando i malati. Forse sono proprio questi ora a rappresentare l’Unità d’Italia, tra le immagini più belle di questo momento e di questo 159 anniversario è l’infermiera che tiene tra le braccia un’Italia tricolore.