“Sono arrabbiatissimo” ha detto alla fine, a microfono spento, un componente del Comitato Tecnico Scientifico della Regione Lombardia: “questo non è un coprifuoco, questo è un buon riposo”.
In Lombardia c’è stato uno scontro duro tra il Cts della Regione, da una parte e i politici, dall’altra. Nell’ultima riunione, medici e scienziati hanno insistito per un coprifuoco che partisse alle 21 e per chiudere i bar alle 18. I politici si sono opposti e, alla fine, hanno spuntato il coprifuoco dalle 23 alle 5 e nessuna ulteriore misura per i locali. Saranno chiusi nei fine settimana i centri commerciali medi e grandi.
L’ipotesi del Cts era tale che avrebbe di fatto consentito alle persone di uscire di casa per lavorare e andare a scuola, per fare la spesa e poco più. Eliminando la gran parte della vita sociale. Un semi-lockdown, un ritorno alla scorsa primavera.
La parola lockdown, quello vero, per la Lombardia era stata in effetti evocata nei giorni scorsi dagli esperti. Parola che i politici, fino a oggi, non vogliono sentire nominare, né in Lombardia né a livello nazionale. Non lo vuole la Regione, non lo vuole il Governo.
Significative, dopo la decisione di imporre il coprifuoco alle 23, misura che colpisce la movida notturna ma lascia ossigeno ai ristoratori e ai locali, le parole del presidente della Lombardia, Fontana: è una iniziativa “simbolicamente molto importante ma non dovrebbe avere delle conseguenze di carattere economico particolarmente gravi” affermava, cercando di minimizzare il più possibile la decisione che aveva appena preso.