Una conferenza internazionale dalle grandi attese, con ancora tanti nodi da sciogliere. Dalle quote di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas che provocano l’effetto serra, al metodo dei controlli.
La solennità delle due settimane di Cop 21 a Parigi è testimoniata dalla doppia sessione dei politici, in apertura e in chiusura.
E’ dalla Conferenza di Copenaghen (del 2008) che la stesura di un nuovo accordo per cercare di attenuare la crescita delle temperature sulla Terra non era alla portata. In questi anni le trattative non si sono mai fermate, ma, rispetto al primo protocollo, quello di Kyoto, i cambiamenti sono numerosi. E positivi.
La modifica sostanziale è però l’introduzione degli Indc, Intended Nationally Determined Contribution, l’impegno volontario di ciascun Paese nella lotta al cambiamento climatico in vari settori: mitigazione, adattamento, scambi tecnologici, e finanza.
Probabilmente a Parigi gli impegni dei singoli Stati non permetteranno di raggiungere gli obiettivi del panel degli esperti dell’Ipcc, l’International Panel Climate Change, l’organismo scientifico dell’Unfccc, la conferenza internazionale sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite.
E’ quindi possibile che le prossime Cop, Conferenza tra le parti, migliorino l’auspicabile intesa, anche perché l’eventuale trattato entrerà in vigore nel 2020, quando cesserà la validità quello precedente, siglato come Protocollo nel 1997 nella città giapponese di Kyoto, entrato in realtà in vigore come Trattato solo nel 2005.