Sarebbero già almeno una ventina i morti nelle manifestazioni anti Kabila che sono esplose nella Repubblica Democratica del Congo. Fra le vittime anche dei poliziotti, linciati dalla folla inferocita. Le proteste sono scoppiate dopo che la commissione elettorale aveva postposto la data delle elezioni che si sarebbero dovute tenere in novembre.
L’opposizione accusa, giustamente, il presidente di voler allungare indefinitamente i tempi delle elezioni presidenziali per restare al potere oltre i due mandati stabiliti dalla Costituzione. Kabila infatti afferma che le elezioni non sarebbero trasparenti se si svolgessero senza realizzare prima una larga riforma dell’amministrazione che consenta un voto regolare. Ovviamente un pretesto dato che lui è stato eletto in questa situazione.
Nelle proteste di queste ore la popolazione dice di voler fare ricorso all’articolo 64 della Costituzione che afferma la legittimità del cittadino a protestare se qualcuno prende il potere contro la legge. Ma lo stesso articolo è contradditorio perché afferma anche il diritto alla repressione verso chi protesta contro l’ordine costituito.
Ma legge a parte, ciò che sta avvenendo a Kinshasa era largamente previsto, anzi atteso. In Congo e nella regione dei Grandi Laghi, della quale l’RDC fa parte si gioca una partita importante: quattro presidenti alleati cercano di rimanere al potere a tutti i costi: Nkurunziza in Burundi, Kagame in Ruanda, Musseweni in Uganda e Kabila in Congo. Hanno l’appoggio di quasi tutta l’Africa e il silenzio complice dell’Unione Africana. Sotto questa cappa però c’è una società civile che non vuole disfarsi di questi presidenti dinosauri.