Un nuovo inviato speciale per l’acqua e un’agenda d’azione con 700 impegni per arrivare ad un uso sostenibile delle risorse idriche: questi i più importanti risultati raggiunti nei 3 giorni di conferenza mondiale sull’acqua a New York.
Il summit, il primo dedicato a questo tema da 50 anni, si è concluso nella notte italiana tra venerdì e sabato. Più di 7.000 i partecipanti, tra rappresentanti di governo, diplomatici, scienziati, accademici, membri della società civile e del settore privato, leader di popoli originari.
Per gli organizzatori l’incontro è stato il primo passo fondamentale per iniziare un vero confronto sul tema; per la prima volta dopo decenni istituzioni, privati e cittadini hanno ripreso a dialogare sulla risorsa più importante del pianeta, un tema troppo a lungo trascurato e dato per scontato negli ultimi anni. A livello diplomatico c’è stata piena convergenza sul definire l’acqua un bene comune globale e che le risorse idriche non possono essere trattate separatamente dagli altri temi cruciali, dalla crisi climatica al cibo, dall’energia alla sicurezza.
La conferenza non aveva però tra i suoi mandati quello di definire degli obiettivi vincolanti, e pur registrando la disponibilità a sostenere l’agenda politica anche economicamente, sono pochissimi i paesi che hanno già definito il loro contributo finanziario. La maggior parte dei governi, a partire dalle istituzioni dell’Unione Europea, per ora ha lasciato il campo vuoto. Tutto rimandato quindi alla prossima Cop 28, che sarà a Dubai, sotto la contestata presidenza e gestione degli Emirati Arabi Uniti.
Di fronte alla gravità della conclamata crisi idrica però le stesse Nazioni Unite hanno ammesso che sarebbe stato necessario un impegno più concreto: il documento conclusivo della conferenza mondiale sull’acqua non ha nemmeno lontanamente l’importanza degli accordi sul clima di Parigi del 2015 o il patto sulla biodiversità di Montreal del dicembre scorso, o la storica intesa raggiunta sulla tutela dell’alto mare a inizio marzo.
I pochi attivisti che sono riusciti ad accreditarsi ai tavoli lamentano una sovrapartecipazione dei paesi del nord e del settore privato, a discapito per esempio dei leader indigeni, e denunciano che alcuni temi non sono nemmeno stati affrontati, come il crescente aumento dei conflitti per l’acqua e la relativa insicurezza che ne consegue.
Anche sui punti definiti dall’agenda arrivano polemiche dall’interno stesso del consesso: è il caso di Charles Iceland, direttore globale per l’acqua presso l’istituto delle risorse mondiali, che ha detto che solo circa un terzo degli obiettivi rappresentano dei veri punti di svolta, in grado di migliorare concretamente la gestione delle risorse idriche
eppure che la situazione sia grave è evidente: lo stesso rapporto ONU presentato alla vigilia della conferenza afferma che oggi il 26% della popolazione mondiale – 2 miliardi di persone – e che quasi la metà della popolazione mondiale soffrirà di un grave stress idrico entro il 2030.
La sintesi più efficace è forse quella di Musonda Mumba, da attivista ambientalista zambiana ad attuale segretaria generale della convenzione mondiale sulle zone umide: il mondo si sta muovendo davvero nella giusta direzione, ha detto a conclusione della conferenza, ma la crisi è ovunque, e non abbiamo più tempo.