
Nessuno si aspetta grandi notizie da Astana. I negoziati organizzati da Russia e Turchia non metteranno fine alla guerra in Siria. Regime e ribelli discuteranno solo di cessate il fuoco, aiuti umanitari, scambio di prigionieri. Sul tavolo non c’è alcun dossier politico, non si parlerà di una possibile transizione. Ma nonostante tutto questo i colloqui fortemente voluti da Putin confermano che la crisi siriana è entrata in una nuova fase e al momento sono l’unico canale diplomatico aperto tra regime e opposizione. Astana merita quindi attenzione.
Partiamo dai tanti e soliti problemi. La fine del conflitto è ancora lontana. Mentre regime e una parte dei ribelli discutono ad Astana, in Siria si continua a combattere. I raid del regime e dell’aviazione russa continuano a colpire diverse zone sotto il controllo dell’opposizione intorno ad Aleppo, nella provincia di Idlib e nella zona di Damasco. Negli ultimi giorni ci sono state ancora diverse vittime civili.
Ad Astana non ci sono tutti i gruppi ribelli. A parte l’esclusione di Fateh al-Sham (l’ex-braccio siriano di al-Qaida) e delle milizie curde, non partecipano nemmeno alcune organizzazioni armate che dicono di non fidarsi del regime e della Russia. Dopo la caduta di Aleppo i ribelli siriani sono in una posizione di estrema debolezza, aggravata ulteriormente dalle solite divisioni interne. Un fronte anti-regime unito sarebbe indispensabile per un negoziato credibile, che non si pieghi alle sole richieste di Assad e dei suoi alleati.
In Kazakistan non c’è l’Occidente e nemmeno i paesi arabi del golfo, tra i principali sponsor dei ribelli siriani. Sappiamo che la quella siriana è una guerra regionale e internazionale e quindi per la sua soluzione servirebbe la partecipazione di tutti gli attori interessati. La nuova amministrazione americana è un’incognita. Donald Trump ha detto che lavorerà con Putin su alcuni dossier di politica internazionale, ma sulla Siria le intenzioni del neo-presidente non sono assolutamente chiare.
Ad Astana, in qualità di osservatore, c’è anche l’inviato ONU per la Siria Staffan de Mistura, che a febbraio spera di riprendere i colloqui organizzati dalle Nazioni Unite. I ripetuti fallimenti dei negoziati ONU hanno mostrato in passato tutte le divisioni della comunità internazionale, che hanno impedito di trovare una soluzione a questa crisi. Le divisioni rimangono. Nessuno sa se e come Staffan de Mistura riuscirà sul serio a far ripartire i colloqui di Ginevra.
Di sicuro Astana conferma i nuovi equilibri internazionali in Siria. La Russia è l’attore principale. Con il suo intervento, un anno e mezzo fa, ha sostanzialmente salvato Assad. Ora vorrebbe però convincerlo a fare la pace. Nessuno sa se ci riuscirà, anche perché l’altro sponsor di Damasco, l’Iran, non è sempre d’accordo con Mosca. In ogni caso il futuro della Siria verrà probabilmente deciso e poi garantito da Russia, Iran e Turchia. Negli ultimi mesi Erdogan, il principale contatto esterno dei ribelli, si è riavvicinato a Putin. Ankara pare anche aver rinunciato all’immediata uscita di scena di Assad. Dovrebbe quindi essere la Turchia a convincere i ribelli ad accettare un accordo prima militare e poi politico con il regime. Per i turchi la priorità è bloccare l’avanzata dei curdi siriani nel nord della Siria, e in secondo luogo allontanare l’ISIS dal suo confine. In cambio del via libera della Russia alle sue operazioni militari nel nord della Siria Erdogan ha accettato le condizioni di Putin su tutto il resto.
Il principale dato positivo di Astana è che dopo anni i ribelli partecipano a una trattativa. Per anni la comunità internazionale ha fatto riferimento all’opposizione politica all’estero, che però non ha mai avuto un vero contatto con i gruppi armati che combattono sul terreno. L’approccio russo è quindi molto più pragmatico e nonostante i tanti problemi dovrebbe anche essere più efficace di quello adottato finora dalla Nazioni Unite.
C’è poi una questione che non va sottovalutata. I siriani sono stanchi della guerra. Il conflitto ha fatto centinaia di migliaia di morti e oltre 12 milioni di profughi. La guerra si è ormai trasformata in una serie di conflitti regionali, spesso separati tra loro. La rivoluzione, per ammissione degli stessi attivisti siriani, non esiste praticamente più. I ribelli presenti ad Astana sanno bene che a questo punto l’obiettivo è mettere fine al dramma della popolazione civile.
Ci sono ancora diverse variabili e molti dei problemi che abbiamo elencato sono problemi antichi, anche se oggi si manifestano su una piazza nuova, quella di Astana. Ma in questo momento ai colloqui in Kazakistan non c’è alternativa. Pur di mettere fine alla guerra siriana bisogna percorrere tutte le strade possibili.