A distanza di un anno dall’approvazione della legge contro gli sprechi alimentari, si è già in grado di fare un primo bilancio di come è stata applicata e dove. Ci sono moltissimi comuni virtuosi che si sono dati da fare subito per garantire che la quantità di prodotti alimentari e di cibo che la sera andrebbe buttato, trovi invece dei destinatari, famiglie o associazioni di volontariato impegnate nel sociale.
Sono soprattutto i piccoli paesi i più impegnati nella lotta allo spreco, forse perché più facile l’organizzazione della raccolta. Il comune infatti, in molti casi, si adopera per il servizio di raccolta del cibo con dei propri mezzi presso il singolo negozio, fornaio o supermercato, accollandosi anche la consegna alle associazioni di volontariato o direttamente alle famiglie, censite dal comune, nuclei famigliari che soffrono un disagio economico, anziani soli o genitori disoccupati con figli a carico. Nell’elenco fornito nel corso di una conferenza stampa alla Camera dei Deputati mancano all’appello le grandi città, dove è facile immaginare la quantità di famiglie bisognose e di mense aperte ai più poveri nelle quali ci sarebbe molto bisogno di avere cibo in tavola.
L’obiettivo che si era dato il Governo quando approvò la legge era quello di eliminare un milione di tonnellate di spreco di cibo all’anno. Il Parlamento si era attivato dopo la sollecitazione di Strasburgo, che aveva approvato una risoluzione che impegnava i paesi membri dell’Unione europea a ridurre lo spreco alimentare del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030.
Prima, difficile a credersi, non era possibile donare il cibo non venduto dai reparti di pane o prodotti freschi, per non pensare alla quantità di cibo che rimane nei vassoi delle mense alle scuole materne ed elementari. La svolta è stata aver definito un “tornaconto”, un’agevolazione importante per i supermercati e negozi che decidono di donare le eccedenze alimentari: uno sconto sulla Tari, la tariffa sui rifiuti, fino al 20%, e questo ha messo in moto un circolo virtuoso.
Ci sono quattordici comuni della Vallesina, un comprensorio in provincia di Ancona che da anni soffre la crisi del comparto dell’industria metalmeccanica, nel passato molto fiorente, nei quali è attiva un’associazione che si occupa di raccogliere giornalmente cibo e prodotti in 40 aziende, dalla frutta e verdura, pasta, latte, dolci per consegnarle ogni giorno a 2500 persone che abitano nel territorio, tra cui 420 bambini.
Il Comune di Dicomano, a Firenze, ha avviato il progetto “Un pasto giusto” che interessa le mense scolastiche. Il cibo viene servito, in dosi più ridotte, ma più volte, così da ridurre gli avanzi nei piatti, in questo modo il cibo che rimane nei vassoi, non servito, viene consegnato in un locale del comune dove viene offerto alle famiglie più disagiate.
A San Stino di Livenza, il comune ha calcolato che su una superficie di una struttura commerciale (super o ipermercato) di 1200 mq, lo sconto della Tariffa sui rifiuti arriverebbe a circa mille euro e questo è un ottimo incentivo, come spiega l’assessore Stefano Pellizzon
Nel Comune di Carpi, in provincia di Modena, si trova invece il “pane in attesa”, un’iniziativa simile al “caffè sospeso” o al “pasto sospeso”, che consente ai clienti di donare un quantitativo di pane in più a chi ne ha bisogno.
Molte le iniziative censite. E se non serviva la legge per chi si è sempre adoperato nel volontariato e nelle donazioni di vestiti, libri, scarpe alle associazioni di volontariato da sempre impegnate nella solidarietà, per il grande commercio, i supermercati e le grandi catene, la legge “Gadda” ha permesso di non sprecare quintali di cibo non venduto.
Altra esperienza nel centro Italia a Bucine, in provincia di Arezzo, dove la raccolta è centrata soprattutto nei panifici e forni, sono una quarantina le famiglie contattate da un’associazione onlus e dal banco alimentare a cui ogni giorno viene portato il pane, come racconta l’assessore Sara Valentini