Hillary Clinton è la “presunta candidata” democratica alla presidenza.
L’annuncio viene da Associated Press, che dopo il voto delle scorse nelle Virgin Islands e a Puerto Rico ha rifatto i calcoli e, soprattutto attarverso il conteggio dei superdelegati, ha dato alla Clinton l’appoggio dei 2383 necessari per la nomination.
Con un tweet, subito dopo l’annuncio, la Clinton ha detto: “Sono lusingata, ma abbiamo delle primarie da vincere”. La proclamazione di queste ore arriva infatti alla vigilia di un importante appuntamento: il voto in California (che dà il premio più consistente dell’intera stagione, con 546 delegati) e poi in New Jersey, New Mexico, North e South Dakota. Proprio al voto di oggi ha fatto allusione la Clinton in un’intervista con Rachel Maddow di MSNBC, spiegando di non “voler affrettare le cose”.
Il team della Clinton aveva preparato un grande evento a Brooklyn, dove si trova il quartier generale della candidata, proprio per marcare il risultato. L’ex segretario di stato era infatti convinta di poter raggiungere la soglia fatidica dei 2383 delegati attraverso il voto popolare e non grazie alle dichiarazioni di sostegno da parte dei superdelegati – un’accusa che le è stata mossa da Bernie Sanders, in questi mesi, è quella di essere una candidata dell’establishment. I superdelegati, che a grande maggioranza hanno fatto dichiarazione di voto per la Clinton, sono senatori, deputati, amministratori locali, dirigenti del partito. In realtà, anche senza l’appoggio dei superdelegati, la Clinton appare comunque in vantaggio: si è infatti aggiudicata 1812 delegati, contro i 1521 conquistati da Sanders nelle primarie.
In queste ore la Clinton ha più volte riflettuto, in interviste e dichiarazioni pubbliche, sul carattere storico della sua candidatura: essere la prima donna a diventare la candidata ufficiale di un partito per la Casa Bianca. “I miei sostenitori sono appassionati. Sono impegnati – ha detto -. Hanno votato per me in largo numero per molte ragioni. Ma, tra queste, penso ci sia il fatto che avere una donna presidente è una gran cosa, una cosa storica che dice che tipo di Paese siamo e per cosa ci battiamo. il fatto riguarda le donne e le bambine, ma non solo. Gli uomini portano le loro figlie a incontrarmi e mi dicono che mi sostengono per le loro figlie. E penso che farà una gran differenza per un padre e per una madre guardare alle loro figlie e dire: ‘Puoi essere quello che vuoi, in questo Paese, anche il presidente degli Stati Uniti‘”.
Dal quartier generale di Bernie Sanders rispondono per il momento cercando di minimizzare l’annuncio di Associated Press. “C’è troppa fretta da parte dei media”, spiegano gli uomini di Sanders, che chiedono di aspettare il voto di oggi, soprattutto quello in California, prima di parlare di candidato ufficiale. La strategia di Sanders, fino a qualche ora fa, era appunto vincere la California (dove i sondaggi lodano praticamente appaiato alla Clinton) e mostrare ai superdelegati che, con 20 Stati conquistati, Bernie è il candidato migliore tra i democratici per sconfiggere Donald Trump (ai superdelegati è concesso cambiare le proprie dichiarazioni di voto).
L’annuncio di Associated Press complica le cose, per Bernie Sanders, ma non ne vanifica completamente i piani.
Nel caso di vittoria in California, il senatore intende infatti chiedere non tanto la nomination – cosa impossibile, considerato il divario in termini numerici con la Clinton, quanto la possibilità di influire nella scrittura della piattaforma ufficiale del partito, che sarà presentata alla Convention di luglio, a Philadelphia, e nella scelta del candidato vicepresidente della Clinton.