Hillary Clinton contrattacca.
In un comizio a Daytona Beach, in Florida, la candidata democratica dice che la mossa dell’FBI, che ha riaperto l’inchiesta sulle sue mail, è “senza precedenti e profondamente preoccupante“.
Il giorno dopo l’annuncio del direttore dell’FBI James Comey – che ha informato il Congresso che nuove mail inviate da Clinton quand’era segretaria di stato sono state trovate su un computer portatile condiviso da Huma Abedin, collaboratrice di Clinton, e dal suo ex marito Anthony Wiener, sotto inchiesta per dei messaggi erotici scambiati con una quindicenne – è tutto il partito democratico che cerca di superare lo shock e ripartire con la campagna.
Proprio Comey, un repubblicano nominato da Barack Obama alla guida dell’FBI, è il principale obiettivo degli attacchi democratici. John Podesta, il chair della campagna democratica, dice che l’annuncio di Comey è “ricco di allusioni ma privo di fatti” e questo è potenzialmente “distruttivo” a pochi giorni dal voto.
“Fornendo informazioni selezionate, Comey ha permesso agli avversari di distorcere ed esagerare in modo da infliggere un danno politico”, spiega Robby Nook, campaign manager di Clinton. La cosa che i democratici fanno notare è soprattutto una: perché avvisare il Congresso di un’indagine che non è stata formalmente aperta e che riguarda mail che nessuno all’FBI – per stessa ammissione di Comey – ha letto?
La strategia d’attacco della campagna Clinton è stata decisa con una conference call all’alba di sabato. L’annuncio dell’indagine ha del resto preso di sprovvista. “E’ come se ci si fosse abbattuto addosso un Tir“, ammette Donna Brazile, a capo del Comitato Nazionale democratico.
Le parole d’ordine, a questo punto, sono minimizzare, andare avanti come se niente fosse, soprattutto chiedere che l’FBI dia più notizie sul contenuto delle mail. Quattro senatori democratici – Thomas R. Carper, Patrick J. Leahy, Dianne Feinstein e Benjamin L. Cardin – hanno anche chiesto a Loretta Lynch, l’attorney general, di dare più dettagli e precisare il numero di email ritrovate e quante tra esse sono già state esaminate nella precedente indagine, chiusa a luglio.
Sembra comunque che la furia democratica sia scoppiata soprattutto dopo l’emergere di un fatto. Il Dipartimento alla Giustizia, da cui l’FBI dipende, aveva chiesto esplicitamente a Comey di non avvisare il Congresso. Anzitutto perché l’FBI non commenta su indagini in corso. In secondo luogo perché una delle regole del Dipartimento alla Giustizia è di non interferire col processo elettorale. Comey ha deciso altrimenti, contro l’avviso del suo ministero. La decisione, dicono fonti del’agenzia federale, dipenderebbe dal timore di finire lui stesso, a sua volta, sotto inchiesta. Lo scorso luglio, al termine della prima indagine, Comey aveva testimoniato davanti al Congresso e spiegato che non c’erano altre mail di Clinton.
In attesa dei primi sondaggi che aiutino a capire se l’indagine dell’FBI ha avuto effetti sulle intenzioni di voto dell’elettorato, l’unico a esultare è Donald Trump, per una volta non oggetto diretto delle polemiche. Finalmente, dice, “giustizia è fatta“.