Un caldo anomalo avvolge il pianeta. Sabato scorso la Nasa, l’agenzia spaziale degli Stati Uniti, ha comunicato a noi abitanti del pianeta Terra un dato fondamentale sullo stato di salute del clima. Lo scorso mese di febbraio, sostiene la Nasa, è stato il più “anomalmente caldo”. È il secondo mese consecutivo in cui il record viene infranto. Era accaduta la stessa cosa a gennaio. La serie statistica dell’agenzia statunitense inizia nel 1880.
I numeri, riferiti alle temperature globali terre-oceani (global land-ocean): febbraio è stato 1,35 gradi centigradi più caldo della media 1951-1980 per quel mese. L’anomalia di gennaio era stata invece di 1,13 gradi centigradi, sempre rispetto alla media delle temperature nel periodo 1951-1980 per quel mese.
I dettagli. La regione Artica (parte del Nordamerica e l’Eurasia) a febbraio è stata la più anomala del pianeta: le temperature sono state di oltre 4 gradi più alte della media complessiva di febbraio.
Giampiero Maracchi, professore emerito di climatologia all’Università di Firenze è stato uno degli ospiti di Memos, oggi.
Cosa significano questi numeri raccolti dalla Nasa?
«Sono cifre – risponde il professor Maracchi – che rappresentano lo scostamento delle temperature dal loro valore medio a livello globale. La ragione di tale scostamento è l’ormai noto effetto serra, il surriscaldamento del pianeta».
Perchè si considera la media delle temperature tra il 1951 e il 1980 come riferimento dell’anomalia delle temperature di oggi?
«E’ il riferimento previsto dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale – dice il professor Maracchi – ed è un periodo in cui il cambiamento del clima non si era ancora manifestato. Il cambiamento del clima, in termini di valori specifici, comincia dagli anni ’90 in poi. Nel 1980 ci fu la prima conferenza mondiale sul clima, ripetuta poi nel 1990, e noi climatologi – e io fui tra coloro che parteciparono alla conferenza dell’80 – cominciammo ad evidenziare che l’aumento dei gas effetto serra come l’anedride carbonica avrebbe comportato un innalzamento complessivo della temperatura del pianeta, cosa che poi si verificò puntualmente. Un aumento sia della temperatura degli oceani, molto importanti nella “macchina del clima”, che dell’atmosfera».
Usare come metro di confronto quei trent’anni tra il 1951 e il 1980 significa riferirsi ad un’epoca ottimale, dal punto di vista climatico?
«Normale, direi».
La rivista di divulgazione scientifica The New Scientist, commentando i dati della Nasa, ieri scriveva che il record di anomalia nelle temperature di febbraio non vuol dire che abbiamo raggiunto il picco più alto. Perché, professor Maracchi?
«Bisogna fare una distinzione. Dal punto di vista del clima ciò che conta sono prevalentemente gli oceani che sono costituiti da un’enorme massa d’acqua. La quantità di calore immagazzinata negli ultimi anni dagli oceani è addirittura dell’ordine di tremila miliardi di miliardi di joule. Il joule è l’unità di riferimento del calore e quindi stiamo parlando di una quantità di energia enorme che corrisponde a migliaia di bombe atomiche. Non necessariamente, quindi, fa sempre più caldo ovunque. Il riscaldamento del pianeta – sostiene il climatologo dell’Università di Firenze – mette in discussione la “macchina del clima”, molto legata agli oceani, e si traduce nelle differenti aree del globo in fenomeni diversi, a volte anche contraddittori».
Il dato della Nasa di febbraio viene spiegato con il surriscaldamento di lungo termine del clima e con l’effetto corrente di El Niño.
«El Niño è un fenomeno che si è sempre verificato. E’ un fenomeno del sud del Pacifico che poi ha effetti sull’America e sull’Australia ed è legato alle correnti marine. Ovviamente, come con tutti i fenomeni meteorologici, il cambiamento del clima ne ha intensificato la portata. Non è El Niño a contribuire al riscaldamento terrestre, ma al contrario è il riscaldamento del pianeta che rende El Niño spesso più intenso».
Lei, professor Maracchi, ha sempre sostenuto che il problema del surriscaldamento del clima lo si risolve in un solo modo: superando l’economia dipendente dal petrolio. E’ ancora così?
«Assolutamente sì. Ricordo sempre che a Parigi alla Cop21 avrebbe dovuto esserci quell’unico documento che ha un po’ colto questo fenomeno. Parlo dell’enciclica Laudato Si’ di papa Francesco. E’ un testo che tiene insieme tutti i vari tasselli che sono legati ad un tipo di economia che oggi, nel 2016, non è più coerente con il rispetto dell’ambiente e la conservazione del pianeta per le prossime generazioni».
Ospite di Memos anche Monica Di Sisto, vicepresidente di Fairwatch, associazione che si occupa di commercio internazionale e clima. Di Sisto ha partecipato alla Conferenza sul Clima di Parigi nel dicembre scorso. L’articolo 2 dell’accordo di Parigi fissa l’obiettivo di restare “ben al di sotto dei due gradi rispetto ai livelli pre-industriali”, con l’impegno a “portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi”.
Sono obiettivi compatibili con i dati di questi ultimi mesi?
«Sono dati, mi dispiace dirlo, che avevamo preannunciato in passato», ci dice Monica Di Sisto. «Quando abbiamo visto l’euforia che c’è stata rispetto al risultato di Cop21 – prosegue la vicepresidente di Fairwatch – noi dicevamo che il limite dei due gradi, anche se rispettato, avrebbe portato comunque ad un aumento della temperatura tra i 2,7 e i 3 gradi. I limiti che ci siamo dati dovrebbero valere per tutti i paesi: dal Bhutan alla industrializzata Cina, agli Stati Uniti che continuano ad inquinare, all’Europa che inquina meno solo perché c’è più crisi. In questa situazione complessa e così contraddittoria, le conclusioni di Cop21 sono come una foglia di fico davanti ad un gigante nudo. Noi avevamo chiesto maggiore ambizione da parte degli stati. Non solo. Avevamo chiesto che l’accordo fosse legalmente esigibile, mentre invece è solo vincolante e in un modo particolare. Gli stati, infatti, sono obbligati a mantenere i loro impegni che, però, sono impegni volontari, fissati da loro stessi senza un organismo terzo che decida se sono sufficienti o meno a rendere la loro economia più verde. Inoltre non sono previste sanzioni».
Monica Di Sisto nel corso della trasmissione parla anche delle questioni che legano l’ambiente, il clima e il negoziato commerciale tra Europa e Stati Uniti, il TTIP. A Roma il 7 maggio le associazioni che si oppongono al TTIP (vedi) hanno convocato una manifestazione: «vogliamo far capire – dice Di Sisto – che come sul nucleare c’è un pezzo di questo paese che dice “no”. In un momento così complicato per la salute del pianeta, quel Trattato che detterà le regole per oltre il 46% del mercato globale (Europa e Stati Uniti) considera secondario l’ambiente e il lavoro. Entrambi, ambiente e lavoro, sono inseriti in un capitolo specifico senza renderli invece trasversali a tutti i temi. Così si crea per loro una sorta di nicchia. In questo capitolo – chiamato “sviluppo sostenibile” – non ci sono regole stringenti. C’è solo un elenco – conclude Monica Di Sisto – di buoni principi e convenzioni che un giorno verranno sottoscritte. Non c’è un indicatore numerico o qualitativo».
Per saperne di più ascolta tutta la puntata di Memos