Approfondimenti

Claudio e quel pomeriggio di primavera

Claudio Lolli

Bologna è una città con la testa sulle spalle, i cittadini hanno la testa tenuta sulle spalle dal peso, e dal riparo, dei portici così non vedi mai il cielo. Non ti piove in testa ma neppure t’accorgi del mutare delle stagioni. Per fortuna ogni tanto nasce qualcuno come Claudio che libera in Piazza Grande gli zingari felici. Claudio che dice di sè, “io sono strano, sono sempre stato strano con la voce arrochita, per quelli di destra ero di sinistra, per quelli di sinistra ero di destra, una volta cantando al Festival dell’Unità fui fischiato e contestato da una squadra organizzata di giovani del PCI, i figiciotti, una roba dell’altro mondo, da non crederci: avevano scambiato gli zingari con Zangheri, l’allora sindaco molto contestato“.

Siamo a casa di Claudio Lolli nella primavera scorsa a chiaccherare, Amalia che si occupa di moda e armonia, Roberto chitarrista emerito e fisico teorico di chiara fama, io a giocare il ruolo di chi fa le domande, e lui mastro cantore col cuore nella voce, la poesia nelle parole, la fantasia nelle musiche, sovversivo nel pensiero, riottoso alle interviste ma qui ci sta, si conversa tra amici che condividono. Direi tra compagni se non temessi di essere frainteso, mentre camerati è parola inagibile dopo il fascio littorio.

Prima di cominciare un’avvertenza. Lolli è in primis un cantante, meglio uno chansonnier, di quelli che in voce rendono affascinante anche la rima banale tra cuore e amore. Questo ruolo della voce non è riproducibile in un testo scritto. Purtroppo. Si può al più leggere tenendo in sottofondo “ho visto anche degli zingari felici” una delle più belle long song della canzone italiana, o se preferite: uno dei più bei poemi in musica e parole.

E comincio con la più ovvia delle domande. Cosa è oggi Bologna?

“Mica è semplice, io vivo qua da sempre. L’ho sempre trovata molto viva, piena di dubbi e conflitti, sempre legata alla sinistra, un’idea di sinistra che forse era la mia, ma sarà quella giusta, va a sapere, e io ho l’impressione che stiamo qui, a Berlino, in Spagna, a Parigi, in un castello di carta che sta cadendo, o sai uno di quei giochi da bambini in legno per le costruzioni, ecco io ho l’impressione che c’abbiamo messo troppi pezzi, e che non stiano più insieme. Noi invecchiamo e il mondo invece ringiovanisce in un modo non controllabile, che magari a noi non piace. Io penso che ancora oggi Bologna cerchi di rappresentare una sorta di pensiero critico ma non sono sicuro di questo. Forse è soltanto un compromesso dignitoso”.

Ma che spazio intercorre tra gli zingari felici e il grande freddo?

“Il compromesso dignitoso qua non c’è. Certo che no. Qua c’è una parabola. Gli zingari sono la parte crescente della curva fino all’apice, poi disoccupate le strade dai sogni è la caduta, il ramo discendente (Roberto da fisico fa una vivida descrizione, geometricamente impeccabile che qui trascuriamo, ma Claudio è tutto contento, vedi che serve avere un amico non solo musicista ma anche fisico? Anche tu sei un fisico). Disoccupate le strade dai sogni è però ancora rabbiosa, è di parecchi anni fa. Il grande freddo invece è come al Luna Park quando suona il campanellino, che il giro nel tunnel dell’amore è finito e non ti resta altro che scendere. Possiamo cercare di capire, elaborare, non si tratta di andare in piazza a cantare Bella Ciao con tutto l’amore che ho per questa canzone. Per dire il rapporto che ho con la città. Quando mi hanno chiamato un 2 agosto – l’anniversario della strage alla stazione – per cantare con una orchestra classica Piazza Bella Piazza, io sono stato molto gratificato, come artista ero contento, però non ho potuto dire nemmeno una parola. Cantante, ma non cittadino se vuoi”.

Così viene il momento di parlare di musica. Dopotutto Claudio fa parte della sacra trinità dei mastri cantori bolognesi, Dalla, Guccini, Lolli che hanno segnato qualche decina d’anni di musica, con Freak Antoni a latere ma non meno importante volendo essere precisi. Quella tradizione, quella fase si è conclusa – Claudio e Roberto convergono.

“Noi, quelli che dicevi, avevamo rapporti dignitosi, ma l’amicizia è un’altra cosa”.

Ma non avete tentato insieme di esercitare una influenza culturale sulla città, che ne so come fece Roberto Roversi che coi giovani e meno giovani poeti, o scrivani di versi che dir si voglia, suoi amici mise in piedi la cooperativa Dispacci che editava dei fogli volanti in versi distribuiti un po’ ovunque?

“No, e sai perché? A differenza dei poeti, noi cantanti, musicisti e tutto il circo siamo narcisi, del tutto individualisti. Non riusciamo nemmeno a pensarla una cooperativa”.

Comunque non si può dimenticare la collaborazione tra Roversi e Dalla che ha partorito alcune canzoni tra le più belle e originali. Però, interviene Roberto, “Io nel ’74 sono entrato in contatto partecipando al collettivo autonomo dei musicisti che si riuniva al teatro S. Leonardo sotto l’egida e lo stimolo di un assessore alla cultura o comunque di qualcuno legato all’assessorato, mi pare Farinelli. E tu Claudio lì mi proponesti di suonare con te“. Allora, riprende Claudio, “eravamo molto giovani con molto futuro davanti, e libertà. Adesso mi pare che questo orticello“, e ride, “detto senza polemica sia ormai un ortus conclusus“.

Insomma Bologna non diventò la città della musica. O sbaglio?

“No, non lo diventò, ma la città lungo tutti gli anni ’70 si riempì di musica, non c’era osteria dove non si suonasse e/o cantasse, così come molti venivano a abbeverarsi sulle rive del Reno (il fiume che scorre a Bologna), per esempio De Gregori. Oggi ci sono soltanto due posti dove si può ascoltare musica, decente ma non frizza più. Hanno riaperto l’osteria delle dame, un luogo di fighetteria, un po’ come la nuova 500 che costa 16.000 euro. Poi ci sono posti con questi gruppi rumorosissimi, che non si capisce niente. Se vogliamo proprio deprimerci, (risate e no, no) abbiamo detto che la politica è finita, la sinistra è finita, possiamo dire anche che la musica è finita. La libertà si è ristretta, la città raggrinzita. Per fortuna c’è l’università”.

E si comincia a parlare dei giovani studenti, che a Bologna sono dappertutto, essendo l’università spalmata su tutta la città. Senza, Bologna sarebbe un grosso paesone, una città di provincia. Studenti che s’iscrivono per questa leggenda ormai di Bologna città accogliente. “La vera ricchezza nostra è l’accoglienza“, dice Roberto, che all’università insegna, però dopo i ragazzi vanno all’estero, quelli più impegnati, audaci, studiosi, e qua rimaniamo con un pugno di mosche in mano. Per Claudio la ricchezza di Bologna è la mescolanza, prima di tutto tra giovani e giovinette, qua l’erotismo corre, si respira, Bologna erotica e studiosa, non è una brutta accoppiata. La mixitè dicono i francesi, su cui bisogna lavorare. Si fa serio il nostro amico poeta e musico.

Noi dobbiamo dare il nostro contributo di intellettuali, e ricorda Vittorini, la fondazione del Politecnico, lo scontro polemico con Togliatti:

“Dobbiamo prendere atto della realtà e su questo lavorare. I dinosauri si sono estinti, D’Alema non è stato votato perchè si è estinto. Estinzione è una parola che amo. Ma Bologna si è estinta o è sulla via per…”

Qualcuno tira fuori Milano come via di fuga, però Milano è una città in cui non esistono i sentimenti, la prima cosa che ti chiedono non è come stai, ma cosa fai. Si potrebbe discutere per alcune altre ore, Bologna messa sottosopra, Claudio che l’ama, ogni tanto racconta uno scorcio, una qualità, un tempo passato ma il cui ricordo resta, poi però gira e rigira sempre si torna al compromesso dignitoso iniziale.

Infine siccome bisogna pur concludere questo pomeriggio, anche perchè la moglie di Claudio è tornata, e noi siamo un po’ rumorosi, forse troppo, ecco a Claudio l’ultima parola: “Bologna è la casa della poesia. E tanto basti“.

È stato un bel pomeriggio che chissà…invece nessun chissà. Dopo qualche mese, il 17 agosto, Claudio ci ha lasciati. Lo ricorderò sempre così: paradossale, guizzante come un pesce, imprendibile, un uomo di cui percepivi la bontà e il genio. Un uomo che non si è risparmiato donando a tutti noi parole e musiche per dire l’amore e la rivoluzione con naturale ironia, e tremenda dolcezza.

Claudio Lolli
Foto dalla pagina FB Claudio Lolli – La Leggenda https://www.facebook.com/Claudio.Lolli.la.leggenda
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    Bruno Giorgini
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    1) “Ora tocca alla Cisgiordania”. L’esercito israeliano annuncia l’ampliamento dell’operazione militare su Jenin, mentre le famiglie vengono costrette all’evacuazione e il campo profughi della città inizia ad assomigliare sempre più alla striscia di Gaza. (Ahmad Odeh da Jenin) 2) Stati Uniti. I Proud Boys sono pronti a tornare e vogliono vendetta. I leader del gruppo di estrema destra appena rilasciati dal carcere dalla grazia di Trump chiedono al presidente una rivincita. (Roberto Festa) 3) Colombia, crolla il piano di pace del presidente Petro. Nel paese riscoppia la guerriglia per il controllo del narcotraffico. (Eleonora Cormaci - Terres des Hommes) 4) Il divorzio per violazione del dovere coniugale non esiste. La Francia condannata dalla Cedu. (Francesco Giorgini) 5) La dittatura Brasiliana, l’occupazione israeliana in Cisgiordania e la storia di Emilia Perez, narcotrafficante transgender. Le nomination per gli Oscar 2025 vanno contro corrente. (Mauro Gervasini - Film TV) 6) World Music. Il saxofonista Haitiano Jowee Omicil lancia il suo nuovo album puntando sui podcast. (Marcello Lorrai)

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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