Il 20 gennaio 2014 moriva Claudio Abbado.
Il direttore se ne andò a Bologna, dove si era stabilito per stare vicino alla figlia Alessandra e dove aveva fondato la sua ultima “creatura”, l’Orchestra Mozart.
Il concerto di addio era stato a Lucerna qualche mese prima, il 23 agosto, quando Abbado aveva diretto con l’Orchestra del Festival l’Ottava di Schubert e la Nona di Bruckner, due celebri incompiute. Il caso, o forse no, volle che il direttore lasciasse la musica, e la vita, con due opere che testimoniano il carattere “non-finito“, in perenne evoluzione e trasformazione, di ogni esperienza artistica.
“Trasformazione” è del resto la parola che meglio si adatta ad Abbado direttore e uomo. Non c’è forse musicista che negli ultimi cinquant’anni abbia incarnato meglio la voglia continua di ricerca e innovazione. Nel suo lavoro di organizzatore musicale, anzitutto. Abbado ha diretto e segnato con la sua presenza e le sue scelte artistiche almeno cinque grandi orchestre: quella della Scala, la London Symphony Orchestra, la Chicago Symphony, i Wiener e i Berliner. Di più, Abbado è stato un geniale fondatore di orchestre, dalla European Union Youth Orchestra alla Gustav Mahler, da quella del Festival di Lucerna alla Mozart. La fondazione del Wien Modern e gli anni passati a lavorare in Venezuela con un’altra orchestra giovanile, l’Orquesta Sinfónica Simón Bolívar, testimoniano ancora della sua concezione della musica come ricerca e scambio.
È stato però soprattutto nelle scelte interpretative che Abbado ha impresso la sua tensione verso territori nuovi e spesso inesplorati. Non c’è direttore che abbia come lui dedicato spazio ed energia alla diffusione della musica contemporanea. Al culmine del successo, alla guida delle più grandi orchestre, Abbado avrebbe potuto adagiarsi su scelte più “rassicuranti” E invece dal podio ha continuato a dirigere le opere di Luigi Nono, Karlheinz Stockhausen, Giacomo Manzoni, Bruno Maderna, Thomas Adler, Franco Donatoni, George Benjamin, facendo in modo che la musica nuova entrasse nel repertorio di grandi orchestre prima piuttosto refrattarie.
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A questo va aggiunta l’attenzione alla Scuola di Vienna e soprattutto il ripensamento dell’opera di Gustav Mahler, che Abbado inizia agli esordi della sua carriera, negli anni Sessanta, e che non lascerà mai più, fino alle esecuzioni di grandezza lirica e straziante con l’Orchestra di Lucerna a fine vita – lo sbigottito silenzio del pubblico di Lucerna al termine della Nona, durato diversi minuti, testimonia proprio della consapevolezza di questa grandezza.
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Quanto al repertorio italiano, c’è anche qui un “prima e dopo” Abbado. Il suo Rossini comico – Italiana in Algeri, Cenerentola e Barbiere – cambia per sempre il modo di ascoltare e interpretare il compositore pesarese: il rigore e il rispetto delle partiture si unisce alla follia vertiginosa della resa scenica. Per Verdi, oltre al segno lasciato su Macbeth e Don Carlo, va ricordato soprattutto il Simon Boccanegra, l’opera che Abbado fa rientrare in repertorio e che resta, nella perfetta integrazione tra orchestra e scena, un esempio insuperabile di “teatro musicale”.
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C’è poi, ancora, proprio l'”apertura” di Abbado alle esperienze più innovative del teatro della seconda metà del Novecento. Abbado non sentì mai la regia come una minaccia a una presunta verità della musica. Collaborò e si nutrì delle intuizioni di Giorgio Strehler, Peter Brook, Jean-Pierre Ponnelle, Andrei Tarkovsky, Luca Ronconi, Yuri Lyubimov, Jonathan Miller, Peter Stein, Klaus Michael Grüber, Patrice Chereau, Antoine Vitez. I cicli – su Shakespeare, Hölderlin, sui miti greci – pensati soprattutto durante gli anni berlinesi con la “messa in contesto” della musica attraverso la letteratura, la poesia, le arti figurative, il teatro, testimoniano ancora una volta di una concezione per nulla gelosa ed esclusiva del lavoro di musicista.
Rimane il capitolo delle scelte pubbliche e politiche. Uomo schivo e, secondo molte testimonianze, piuttosto timido, Abbado non ha mai avuto paura di prendere posizioni anche clamorose a difesa delle proprie idee. Dagli anni turbolenti della Scala, quando la destra lo accusava di “fare propaganda” comunista addobbando il teatro di bandiere rosse per la prima di Al gran sole carico d’amore, alla Berlino che si riapriva alla democrazia dopo il 1989 fino ai viaggi in America latina e al sostegno all’idea di rivoluzione sociale attraverso la musica, Abbado non ha mai smesso di essere un intellettuale, oltre a un musicista puro, pronto a concepire la sua attività sullo sfondo delle trasformazioni e delle contraddizioni dei movimenti, delle idee, della produzione.
A due anni dalla morte, la riflessione su quanto Abbado ha fatto e rappresentato è appena all’inizio. Intanto Radio Popolare gli ha dedicato un ricordo nell’ambito di “Sabato Libri”. L’occasione è stata la pubblicazione, per il Saggiatore, di Claudio Abbado. Ascoltare il silenzio. Il libro è curato da Gastón Fournier-Facio e raccoglie le testimonianze di amici, parenti, studiosi, musicisti – tra questi Maurizio Pollini, forse il “compagno di strada” più congeniale, e Riccardo Chailly; incluse anche una discografia abbadiana e un’ampia scelta di fotografie.
Attraverso il racconto di Gaston Fournier, si delineano le tappe, e la novità, dell’esperienza artistica di Abbado.