Clarence “Bluesman” Davis, 71 anni, di professione contadino e bluesman ci accoglie nella sua modesta casa. «Questa è la mia fattoria» mi spiega, «Coltivo mais, ocra, cavoli, pomodori, arachidi e tante altre cose, allevo galline e maiali, suono la chitarra e compongo canzoni blues».
Dietro questa modesta presentazione si nasconde però un artista che molti bluesman in Alabama chiamano «un maestro del buon vecchio blues», un musicista che assieme a Willie King e “Birmingham” George Conner (uno dei padri del Rock & Roll, anche se sconosciuto ai più) ha fatto vibrare le pareti del Bettie’s Place di Praire Point (al confine tra l’Alabama e il Mississippi), il juke joint tanto amato da Willie King.
Ai tempi della segregazione i neri nel Sud non potevano suonare la loro musica liberamente. Lo facevano così di nascosto in locali improvvisati nelle cucine delle loro case, nei garage o nei capanni dei mezzadri, nei juke joint appunto.
Willie King nonostante fosse noto a livello nazionale e internazionale e fosse stato ospite di prestigiosi festival del blues, preferiva suonare al Bettie’s Place, per donare qualche ora di allegria e di svago agli abitanti di questa area rurale d’America.
Clarence Davis mi dice che ama sporcarsi le mani di terra, quanto ama la musica blues, perché per lui il blues è il prodotto di questa terra fertile dove «tutto quello che pianti cresce, anche la musica e qui la senti dappertutto». «Mia moglie mi dice di smettere di lavorare la terra, ma non lo faccio perché mi rilassa, quanto mi rilassa la musica. Questa è l’ispirazione per il mio blues» mi spiega, indicandomi i campi infiniti.
Diversi trattori sono parcheggiati sotto un capanno di lamiera. Un paio degli anni Sessanta, «che però ancora funzionano» e i contadini, mi spiega, non amano buttare via i mezzi che li hanno aiutati nel loro lavoro. «È in città che la gente spreca le cose».
Nel capanno dietro casa sono in bella mostra 5 vecchie chitarre e altrettanti schioppi («Non si sa mai»), sacchi di arachidi e strumenti per tagliare l’erba. A pochi passi si trova la smoke house, dove Clarence Davis affumica prosciutti e pancette.
Clarence è nato e cresciuto da queste parti (la cittadina più vicina è Eutaw). Se n’è andato solo per tre anni, in gioventù, quando sognava di fare carriera come musicista.
«Avevo poco più di 20 anni e sono andato a Cleveland, nell’Ohio, suonavo il blues. Sono però tornato subito. Mi sono sposato e ho comprato questa proprietà. Non amo le città, non fanno per me, per questo sono tornato in Alabama. Da allora non mi sono più mosso da qui».
Clarence Davis aveva 7 anni quando per la prima volta ha preso in mano la chitarra. «Mio zio, che viveva a Tuscaloosa, aveva comprato al figlio una chitarra. Mio cugino però non la toccava e allora ho chiesto se potevo averla io e l’ho portata a casa e ho iniziato a suonare. Non sapevo neanche cosa volesse dire accordare la chitarra, ma suonavo lo stesso».
Il padre e la madre di Clarence Davis avevano 9 figli maschi e 3 femmine e una fattoria chiamata Gosa Quarter. Coltivavano il cotone e il mais. «Mentre i miei erano nei campi, da bambino ascoltavo una stazione blues di questa zona e quella musica m’è rimasta impressa. Mi suonava sempre in testa. La sera, cercavo di imitarla con la mia chitarra dopo il lavoro nei campi di cotone. Mio padre a volte mi sgridava perché diceva che facevo troppo rumore e lui era stanco. Anche lui però suonava il blues e se la cavava bene con l’armonica. Io invece ho sempre amato la chitarra».
«Quando avevo 12 anni la suonavo a orecchio e a volte suonavo finché non mi facevano male le dita e non potevo lavorare nei campi di cotone, mio padre allora s’arrabbiava (ride)».
Clarence Davis ha incontrato poi un signore che si chiamava Hoochie Richardson che gli ha insegnato ad accordare la chitarra e a suonare diversi motivi blues.
«Al tempo, dappertutto in questa zona si suonava il blues. Era la musica più popolare, quella che la gente voleva sentire eravamo tutti ammalati di blues quando ero bambino (ride)».
Clarence Davis ricorda dei numerosi musicisti itineranti che ai tempi della sua infanzia e gioventù arrivavano in questa zona il fine settimana per rallegrare le serate dei contadini.
«Qui c’era del buon buffalo fish che non trovavi da nessuna parte al tempo. Friggevamo il pesce e suonavamo il blues, circondati dai campi».
Tra i nomi di musicisti famosi, Clarence Davis ricorda quello di Howlin’ Wolf che a 17 anni ha sentito suonare in un juke joint di Tuscaloosa. È rimasto colpito perché questo grande artista copiato dai Rolling Stones suonava una chitarra economica.
«Erano così poveri, non guadagnavano niente con la musica, non gli bastava neanche per comprarsi uno strumento decente».
All’età di 15 anni, Clarence ha iniziato a suonare nei cosiddetti fish fry parties, dove il blues era accompagnato da pesce fritto; nei juke joint e nei locali della zona, ma spesso, ricorda, prendeva semplicemente in mano la chitarra e dava sfogo al suo blues.
«Cantavo della vita che stavo vivendo, di Gosa Quarter, della raccolta del cotone, dei miei genitori. La quotidianità era il tema delle mie canzoni blues. C’era sempre un ritmo che mi suonava in testa, non aveva orari arrivava nei momenti più impensati e io lo salvavo qui in questo computer (indica la sua testa, ndr). A volte iniziavo a suonare e cantare pezzi che nascevano lì per lì. Potevo andare avanti per ore con le mie improvvisazioni».
Clarence Davis dice che il suo stile di blues è il Delta Blues. «Il Delta blues era il blues che sentivo alla radio ai tempi dell’infanzia e da allora sono rimasto fedele a questo tipo di musica, al blues tradizionale. Molti giovani ora, bianchi e neri, dicono di suonare il blues, ma suonano musica, a volte della buona musica, ma non il blues. Non capiscono cos’è il blues. Il blues è un sentimento che hai dentro e che deve uscire e quando esce stai bene, sei felice. Se hai un pubblico davanti, senti il loro blues e sai cosa fare per fargli provare le emozioni attraverso la musica, per fargli sentire il blues».
Una affermazione che descrive perfettamente quello che la musica di Clarence Davis trasmette, specialmente quando è accompagnata dall’armonica di Jock Webb. Un ritmo che arriva dritto a toccare le emozioni, che ferma i pensieri, come solo il vero blues sa fare.
E quando si parla di blues autentico e incontaminato il discorso non può non cadere su Willie King.
«Willie era la persona più brava che potevi incontrare. Aveva due anni più di me e musicalmente siamo cresciuti assieme. Nonostante fosse un grande artista, non ha mai perso la sua umiltà. Non amava mettersi in mostra, portava sempre i jeans e le bretelle, ripudiava i vestiti appariscenti e le cravatte. Anche al suo funerale abbiamo indossato abiti semplici, perché Willie avrebbe voluto così. Manca a tutti».
Lasciamo la fattoria di Clarence Davis con un’enorme busta di arachidi biologiche, perché questo bluesman, che per vivere vende i prodotti della terra al mercato, come ama il blues tradizionale, ama coltivare la terra come ai vecchi tempi. «Non uso veleni» mi dice.