Mentre gli occhi del mondo guardano con preoccupazione a ciò che accade in Europa, dalla parte opposta del pianeta è avvenuto oggi in modo relativamente silenzioso, un passo importante, di cui si starebbe parlando molto più diffusamente se non fosse che le cattive notizie, comprensibilmente forse, da sempre oscurano quelle buone.
Alle 16 e 26 italiane il neo presidente cileno Gabriel Boric ha prestato giuramento (davanti al popolo e ai popoli del Cile, los pueblos de cile, non proprio un dettaglio trascurabile) e ha ufficialmente iniziato il suo percorso alla guida di un paese che negli ultimi anni sembra essersi risvegliato da un torpore lungo decenni, e dal quale pare essersi ripreso col botto.
Una costituzione nuova, attuale. Scritta anche dal popolo ma non necessariamente populista. Un governo in cui le donne sono la maggioranza e in cui l’età media è decisamente più bassa dei governi che lo hanno preceduto e soprattutto formato da persone preparate, guidato da quello che, pur avendo solamente 36 anni – un presidente giovanissimo quindi -, ha alle spalle una lunga militanza sin dai tempi dei movimenti studenteschi.
Insomma, il Cile riprende in mano se stesso, dopo una lunga era di devastanti postumi da paura, dittatura e una democrazia che ha sempre vistosamente mostrato le ferite inferte dagli esperimenti economici dei Chicago Boys in un paese dove la classe media si è andata assottigliando insieme agli stipendi medi in opposizione invece a un costo della vita perfettamente in linea con l’Europa.
Forse non ha senso parlare della chiusura di un cerchio, perché la storia recente del Cile è costellata di momenti bui che non troveranno mai giustizia. Ma con ogni probabilità è il segno chiaro della vita che va avanti. Questa volta, finalmente, nella direzione giusta. Il futuro non si prevede, ma non sembra fuoriluogo rimanere in fiduciosa attesa dei primi risultati. E ai detrattori del Presidente Boric, di sinistra “ma non abbastanza”, mi sento serenamente di dire: avercene, di Boric.