
E’ stato presentato quasi ovunque come un libro-scandalo sul doping, eppure Bestie da vittoria è molto di più. L’autobiografia di Danilo Di Luca, edizioni Piemme, è un racconto a cuore aperto di un protagonista del ciclismo dei nostri tempi, di uno dei tanti, una delle “bestie”, ma uno con molto più talento e ambizione dei tanti che lo circondavano. Un racconto spietato, in cui quest’ambizione recita un ruolo fondamentale nella storia di un uomo che non rinnega nulla del suo passato, che si àncora con forza alle sue gioie e sceglie di tornare ad attraversare i dolori, insieme ai suoi lettori, sostenuto dall’ottima penna di Alessandra Carati.
È soprattutto un bel libro, Bestie da vittoria, e già questo può stupire, in un panorama di letteratura sportiva che vede le autobiografie ridotte troppo spesso a racconti didascalici. Ma la forza di Bestie da vittoria non si esaurisce nel valore letterario e nella sua sincerità, c’è un elemento narrativo infatti che attraversa tutte queste 270 e oltre pagine, delle quali il doping non ne occupa nemmeno cinquanta, ed è la fotografia crudele di un “sistema” che vede i corridori ridotti a un corpo frammentato, ricattato e ridotto scientemente all’impotenza.
Un sistema che Di Luca non ha paura di mettere sotto accusa, forte di una definitiva estromissione, dopo una lunga storia di indagini e sperimentazioni repressive. Il primo corridore sospeso per “cattiva frequentazione”, l’amicizia con un medico squalificato da un ente di cui nemmeno faceva parte, la prima radiazione del ciclismo italiano.
Di Luca ha fatto di questa espulsione un punto di forza, traendone l’occasione unica di poter puntare il dito contro il sistema di cui è stato prima connivente e poi “nemico pubblico“, una posizione che nessun corridore ancora all’interno di quel sistema potrebbe sostenere. Ed è questa la ragione ultima che fa di Bestie da vittoria un libro da leggere.
Ascolta qui l’intervista a Danilo Di Luca a cura di Filippo Cauz e Dario Falcini