Chi segue con passione la serialità statunitense da molti anni forse lo ricorda: il famigerato sciopero degli sceneggiatori tra il 2007 e il 2008. Proprio nel momento in cui le serie tv provenienti da oltreoceano vivevano una cruciale età dell’oro, anche grazie alla diffusione e al successo internazionali, la Writers Guild of America – il sindacato degli scrittori e sceneggiatori hollywoodiani – diede inizio a un braccio di ferro con l’Alliance of Motion Pictures and Television Producers, l’associazione che rappresentava oltre 300 produttori cinematografici e televisivi, dalla CBS alla NBC, dalla Disney alla Sony alla Warner, etc.
Molti attori e registi si unirono per solidarietà allo sciopero, che durò 100 giorni e costò all’industria dell’intrattenimento una perdita non precisamente identificata, ma – si dice – attorno al miliardo di dollari. Per noi spettatori, il risultato fu che una grande quantità di serie tv interruppe la produzione e conseguentemente la messa in onda: a volte fu posticipata, anche di molti mesi, molto spesso portò a stagioni seriali dimezzate nel numero degli episodi e creativamente deboli e confuse. Capitò, tra le altre, a Lost, E.R., Desperate Housewives, Grey’s Anatomy, Dr. House, Prison Break, mentre altre ancora, come Battlestar Galactica o Rescue Me, saltarono direttamente un anno e tornarono in tv la stagione successiva.
Lo spettro di questa debacle si aggira per Hollywood, negli ultimi mesi, perché la Writers Guild of America è nuovamente sul piede di guerra: in questo caso la vertenza non è con i produttori ma con gli agenti, cioè quelli che fanno da mediatori per gli artisti (sceneggiatori compresi), negoziando con le case di produzione e le reti televisive i contratti, i compensi, le percentuali di sfruttamento dei diritti d’autore. Il nodo del problema, esploso al momento di rinegoziare un contratto di categoria rimasto invariato per quarant’anni nonostante i grossi cambiamenti del panorama mediale, sta nel conflitto d’interessi di cui l’ATA, l’associazione degli agenti, è protagonista: è in uso una pratica chiamata packaging, tramite cui gli agenti “forniscono” ai produttori un “pacchetto” di più sceneggiatori in cambio di una percentuale sugli introiti della serie per cui scrivono, fintanto che andrà in onda. Inoltre, sempre più spesso agenti e produttori fanno parte delle medesime macro-società: come possono – chiede il sindacato – negoziare al meglio per i propri clienti, quando sono anche contemporaneamente i loro “datori di lavoro”? La Writers Guild of America ha imposto ai suoi iscritti, in seguito a un ultimatum, di licenziare gli agenti, e, seppur a malincuore, molti l’hanno fatto: nomi celebri come Stephen King o il creatore di The Wire David Simon.
Nel weekend di Pasqua, tanti sceneggiatori e showrunner hanno inondato i social network con immagini delle lettere di licenziamento con cui tagliavano rapporti, magari pluridecennali, con i propri agenti: eppure la situazione pare non essersi ancora sbloccata, e naturalmente c’è chi critica il sindacato per l’incapacità di negoziare. Rispetto al 2007-2008, il panorama televisivo è profondamente cambiato: ci sono molte più serie per cui scrivere, servono molti più sceneggiatori, e nessuno sa cosa succederà davvero, se il contrasto non si risolve per tempo. C’è pure chi ironizza sul fatto che, con quasi 500 serie l’anno da guardare, una sfoltita non sarebbe così tragica, ma la verità è che l’intera industria dell’intrattenimento potrebbe ritrovarsi paralizzata: per sapere come andrà a finire, possiamo solo aspettare la prossima puntata.