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Tratto dal podcast
Fino alle otto di gio 10/12/20
Fino alle otto | 2020-12-10
Maurizio Crosetti, giornalista de La Repubblica, ricorda con affetto per Radio Popolare il Campione del Mondo 1982 Paolo Rossi, scomparso oggi all’età di 64 anni.
L’intervista di Barbara Sorrentini a Fino Alle Otto.
Come si può ricordare Paolo Rossi? Alcuni non ne hanno memoria, il che è incredibile.
È segno del tempo inesorabile, che cancella persino il ricordo di colui che per parecchio tempo è stato l’italiano più famoso nel mondo. Paolo Rossi era una specie di fratello maggiore con la faccia da eterno ragazzino, che non era nato né baciato dalla classe di Maradona né dal fisico di un colosso. Eppure, da ragazzo normale per modo di dire, e nonostante la sua fragilità fisica, è riuscito ad arrampicarsi fin lassù e a regalare a tanti di noi quello che sarà per sempre “il” ricordo calcistico, quel giorno in cui l’impossibile prese forma. Battere il Brasile e diventare poi campioni del mondo, moltissimo tempo dopo i mondiali del ’38 che nessuno davvero poteva ricordare. L’Italia che usciva dal terrorismo, con Pertini in tribuna che sventola la pipa e Bearzot in panchina, uomini di un’altra epoca che adesso possiamo rimpiangere pensando “accidenti, era meglio perché eravamo più giovani”? Manco per niente. Era meglio perché era meglio.
Paolo Rossi era paradossalmente era anche molto umile. Com’è stato incontrarlo personalmente?
Quella di Paolo è una generazione in cui era possibile diventare amici, anche noi normali, di questi supereroi. Anch’io ero davanti alla TV quel giorno d’Italia-Brasile, poi d’Italia-Polonia e infine d’Italia-Germania. È stato certamente un mito di quand’ero ragazzino, ma è diventato un interlocutore quando sono diventato giornalista, e dopo un amico. Era una persona sempre disponibile, garbata e molto ironica. Questa sua normalità è rimasta anche quando è uscito dal calcio, e ci è stato molto bene. Si ritirò in un magnifico agriturismo toscano con sua moglie, che lo aiutò anche a scrivere il libro in cui lui non nega anche questi aspetti, sinceramente modesti, del percorso umano di un ragazzo che aveva il cognome più comune d’Italia, il classico signor Rossi, il signor nessuno, che diventa non solo qualcuno, diventa il più qualcuno di tutti. Parlando di Paolo la normalità e la straordinarietà vanno a braccetto. È veramente un profondo dolore. In due settimane se ne sono andati Maradona e Paolo Rossi. Si sgretolano una serie di ricordi, è molto amaro. Si dice sempre che, quando muore qualcuno a cui eri legato, guardi sempre un pezzo di te stesso che se ne va. Penso che per tutti noi sia così. Quel ricordo che è indelebile oggi perde un pezzo di sé.
Cosa resta del calcio senza Maradona e Paolo Rossi? Hanno lasciato degli eredi?
In campo sì, per carità. Continueranno a nascere bravi giocatori, come sono nati anche dopo l’epoca di Paolo, seppur in un calcio diverso. Oggi però siamo tutti abituati ad identificarci con le pop star, gli irraggiungibili. Uno come Cristiano Ronaldo potrebbe essere un chitarrista rock o un grande attore e sarebbe lo stesso. Non resta più, temo, la possibilità di trasformare un sogno normale in qualcosa di unico, e quindi di essere legati a persone che potrebbe essere non dico come noi, ma quasi. Era bello questo, perché ti dava un segno di possibilità. Pensavi “anch’io, nel mio piccolo, ce la metto tutta, e magari un giorno faccio tre gol al Brasile“. Il sogno nelle nostre vite ordinarie (ma allo stesso modo straordinarie come tutte le vite) di poter vivere un giorno alla Paolo Rossi è un po’ più difficile oggi. Pensare allora di poter essere come lui era una possibilità che magari esiste ancora, ma tra l’altro con molti meno bambini che giocano a pallone. È cambiato un mondo, non diciamo addio solo a un grande giocatore.