A Milano, in via Idro, c’è uno dei più vecchi campi rom comunali. E’ lì dal 1989. Attualmente ci vivono circa 25 famiglie per un centinaio di persone. Qualcuno vive in container, altri hanno costruito case in legno sulle piazzole assegnate dal Comune. Molti hanno residenza e domicilio in via Idro.
Un campo che ha passato diverse fasi nella sua storia: di interazione e integrazione con il quartiere, di progetti condivisi con le amministrazioni che si sono alternate alla guida della città, di taglio di questi progetti con la giunta Moratti, come le cooperative di lavoro o il pulmino che portava i bimbi a scuola. Infine di immobilismo, dal 2011 ad oggi. In mezzo momenti difficili, soprattutto nel 2013, con aggressioni tra famiglie del campo culminate nell’omicidio di Luca Braidic, ucciso nel parcheggio dell’ospedale San Raffaele da un componente della famiglia De Ragna. In via Idro risiedeva anche Diego Braidic, ricercato dal 2010 per una lunga serie di reati e arrestato a luglio 2013.
Il 17 agosto 2015 la giunta comunale ha deciso di chiudere via Idro per, si legge nella delibera, “ragioni di rischio idrogeologico, problematiche igenico-sanitarie e di sicurezza urbana”. Il progetto complessivo è quello di superamento di tutti i campi rom milanesi. Alle famiglie del campo sono stati dati due mesi e mezzo di tempo per lasciare gli spazi che lo stesso Comune gli aveva assegnato 26 anni prima. Entro il 3 novembre avrebbero dovuto lasciare il campo.
“Quando entro in un campo nomadi mi colpisce che la precarietà è fatta per durare” ha scritto Massimo Conte su Q Code Magazine. “A Roma, a Bologna, a Mantova, a Milano è l’istituzione ad aver creato e alimentato luoghi che sono per loro natura luoghi di segregazione e marginalizzazione. Ma, facendolo, ha dato vita a spazi abitativi che, proprio perché tali, sono così difficili da chiudere e da superare”.
Con lui siamo andati a visitare la casa dove vivono Marina, Lisse e le loro bambine. Una struttura in legno affiancata a un container sistemato nel corso degli anni, in un cortile con alberi all’ingresso del campo. Un luogo precario e dignitoso, dove c’è tutta la vita di chi lo ha abitato e costruito.
“Per noi andare in un Centro abitativo temporaneo sarebbe un arretramento rispetto a come viviamo oggi” dice Marina mentre ci accompagna insieme al marito Lisse dentro la loro casa.
Ascolta il racconto dal campo
Interno di un container di via Idro
Così la famiglia di Marina e Liesse si prepara a lasciare il campo. Insieme ad altre quattro famiglie ha fatto ricorso al Tar contro lo sgombero. Sono seguiti dagli avvocati del Naga e dalle associazioni Opera Nomadi e Amici di via Idro. Per Piero Leodi degli Amici di via Idro “l’amministrazione sta offrendo condizioni peggiorative, che farebbero fare un passo indietro al livello di integrazione che hanno ora”. Per questo chiedono la sospensione dello sgombero.
Posizione condivisa anche da diversi consiglieri di zona 2, come Deborah Besseghini di Sel: “la politica del superamento dei campi è nata sulla base di un’idea progressista, ma rischia di non esserlo affatto”.
“E’ stato fatto tutto troppo in fretta” dice Piero Leodi. “Chiediamo sia sospeso lo sgombero per cercare insieme alle famiglie una soluzione che non faccia fare passi indietro a chi è integrato con la zona”.
Ascolta l’intervista a Piero Leodi degli Amici di via Idro
Per l’amministrazione non è più possibile aspettare. “Proponiamo centri di autonomia abitativa, poi il passaggio verso il privato” ci ha detto l’assessore alla sicurezza Marco Granelli. “Il 3 novembre è la scadenza dell’invito a lasciare il campo. Dopo il 3 novembre, entro 20 giorni il Comune farà una ordinanza di spostamento delle famiglie presso centri di emergenza sociale. Se non lasceranno il campo ci sarà lo sgombero”.
Sulla soluzione temporanea Granelli dice: “certo, non sono delle vere e proprie case quelle che offriamo temporaneamente. Ma abbiamo una situazione critica e dobbiamo iniziare un percorso”.
Ascolta l’intervista all’assessore alla sicurezza Marco Granelli
Le foto sono di Luca Meola per Q Code Magazine.