L’Accademia reale svedese delle Scienze ha assegnato il premio Nobel per l’economia 2017 allo statunitense Richard H. Thaler, docente all’università di Chicago, nato nel New Jersey nel 1945, per i suoi studi in economia comportamentale.
Thaler – si legge nella motivazione – “ha inserito ipotesi psicologicamente realistiche nelle analisi del processo decisionale economico. Esplorando le conseguenze di una razionalità limitata, di preferenze sociali e di mancanza di autocontrollo lo studioso ha evidenziato come questi tratti umani influenzino sistematicamente le decisioni individuali e gli esiti del mercato. Complessivamente, i contributi di Richard Thaler hanno costruito un ponte tra le analisi economiche e psicologiche del processo decisionale del singolo”.
Esteri ha chiesto ad Andrea Fumagalli, professore di Economia Politica all’Università di Pavia, un aiuto per capire il senso degli studi di Thaler.
Che cos’è l’economia comportamentale?
“L’economia comportamentale è un filone di pensiero economico che si è sviluppato dagli anni Cinquanta con i contributi di Herbert Simon, vincitore del premio Nobel nel 1978. Simon faceva una critica molto serrata all’ipotesi di “razionalità perfetta”, quell’ipotesi secondo la quale viene definito l’homo economicus: cioè, nell’ambito delle decisioni economiche di un essere umano, ogni decisione presa è finalizzata a massimizzare la propria attività in un contesto di mutua indifferenza, vale a dire senza tenere conto degli effetti che le proprie decisioni possono avere sugli altri agenti economici. Quella della perfetta razionalità è un’ipotesi che consente di introdurre un calcolo di massimizzazione e quindi è una teoria del comportamento umano che può essere modellizzata in termini economici. Sulla base di questa modellizzazione poi la teoria del libero mercato e la microeconomia standard arrivano a dimostrare che il libero scambio è quello che alloca in maniera più efficiente le risorse economiche. Questa ipotesi si basa su una certa struttura informativa, di solito gli individui agiscono in perfetta e completa informazione, mentre invece dagli anni Trenta in poi il pensiero economico, soprattutto quello più eterodosso, ha introdotto il concetto di incertezza e di rischio, per cui le decisioni economiche non sempre vengono prese in condizioni di ottimalità, e questo può dare adito a risultati di non perfetta efficienza. Questo è il quadro di partenza all’interno del quale si sviluppa la teoria comportamentale che poi nel corso degli anni Settanta, e soprattutto Ottanta, ha preso direzioni diverse”.
Qual è il contributo di Richard Thaler?
“Thaler prende atto, come ormai è assodato anche nel pensiero economico più mainstream, che esiste un problema di incertezza, un problema di rischio per cui le decisioni non sono sempre quelle ottimali e, prendendo atto di questo, cerca comunque di creare un ponte tra l’uomo reale, che si trova in queste condizioni quando deve prendere qualunque decisione economica, in termini di consumo, risparmio, investimento, e il concetto di homo economicus. Thaler fa una mediazione: riprende il concetto di Simon di “razionalità limitata” e cerca in ogni caso di far sì che anche in condizioni di incertezza e razionalità limitata, il comportamento umano possa essere in qualche modo spiegabile in termini di razionalità. L’esempio a cui gli studi di Thaler si riferiscono essenzialmente è il cosiddetto Finance Behaviorism (comportamentismo finanziario), perché nei mercati finanziari, come la storia anche recentemente ci ha dimostrato, ci sono dei comportamenti che vengono considerati irrazionali. In realtà, secondo Thaler, non sono tanto irrazionali perché rientrano in una logica di una presunta razionalità che può essere in qualche modo misurabile. Quindi secondo Thaler si possono ottenere, pur in contesti diversi, dei risultati in termini di efficienza”.