Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Sabato 23 maggio 2020

Il racconto della giornata di sabato 23 maggio 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia diffusi oggi alle incertezze sul monitoraggio sulle riaperture. L’economia spinge nella direzione di riaprire i confini delle regioni, mentre partono le richieste per l’aiuto al reddito delle famiglie più bisognose. Continua il dibattito europeo sul ricovery fund. Oggi si ricordano le vittime della strage di Capaci quando la mafia lanciò la sfida allo Stato. Infine i grafici sull’andamento dell’epidemia in Italia a cura di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

(di Chiara Ronzani)

Un giorno solo non basta per dire che in Lombardia si vedono i risultati delle riaperture, con la curva del contagio che torna a crescere, ma è lo stesso presidente Fontana ad aver messo le mani avanti, dichiarando: “Sono pronto a intervenire con nuove restrizioni per evitare che tutto il lavoro svolto grazie alla buona volontà della maggioranza dei cittadini, venga vanificato da alcuni incoscienti”.

Il sindaco di Brescia Del Bono ha deciso di chiudere i locali alle 21.30, per limitare gli assembramenti.
I nuovi contagiati registrati nelle ultime 24 ore sono 441, 148 in più del giorno precedente, ma preoccupare è soprattutto il fatto che il dato sia superiore alla settimana precedente, quando i casi furono 399, 42 in meno. Non era mai successo.
L’assessore Gallera dice che 108 dei nuovi positivi fanno parte del personale sanitario o sono ospiti delle Rsa, dato che dimostrerebbe come le note dolenti non siano nella movida o nella irresponsabilità dei singoli. E che il ritardo nel testare quei focolai è enorme.

Nei prossimi giorni sarà possibile valutare se i dati di oggi sono imputabili alla fase due, ad oggi si può rilevare quanto la Lombardia sia sempre più lontana dal resto del paese. Con il 65,8% dei nuovi contagi, e il 47% dei decessi di tutta Italia, mentre ci sono 5 regioni senza nuovi casi (Valle D’Aosta, provincia di Bolzano, Sicilia, Sardegna e Calabria) e 8 senza decessi, e non sono tutte al sud (Valle d’Aosta, provincia di Bolzano, Abruzzo, Umbria, Campania, Calabria, Molise e Basilicata)

Il caos nel monitoraggio delle riaperture

(di Vittorio Agnoletto)

Tutte le regioni devono fornire ogni giorno i numeri relativi a 21 indicatori stabiliti dal ministero della Salute. E qui sorgono i problemi. Nessuno controlla l’operato delle regioni. La soglia stabilita per ritenere validi gli indicatori è che le regioni forniscano i numeri relativi almeno al 50% di questi, ma ciò non si verifica e allora la soglia è stata abbassata al 30%. Inoltre ogni regione si muove per conto suo: abbiamo avuto una regione che contava solo i sintomatici, un’altra ad esempio la Lombardia che tra i guariti contava tutti quelli dimessi dagli ospedali, solo per fare degli esempi. 

Il numero dei tamponi eseguiti ogni giorno non rispetta alcuna proporzione con la numerosità della popolazione, non ci sono indicazioni nazionali in quali fasce di popolazioni i tamponi debbano essere seguiti, perché è ovvio che i risultati sono differenti se eseguo i tamponi in una popolazione anziana o in un gruppo di giovani; il numero di tamponi che viene fornito ogni sera e sul quale viene poi calcolata la percentuale dei positivi, non distingue tra i tamponi realizzati su persone precedentemente non contattate e quelli realizzati ad esempio su persone che hanno terminato la quarantena per vedere se si sono negativizzate e possono tornare al lavoro.

Nell’analisi dei numeri non viene mai considerata la distanza temporale necessaria tra un evento e l’altro; per esempio il numero dei decessi odierni non può essere attribuito all’effetto di misure entrate in atto pochi giorni fa. Ma il calcolo stesso del numero dei decessi dipende dal differente sistema di rilevamento adottato da ogni regione. 

In questa situazione caotica dove è assente qualunque serio studio epidemiologico è possibile che le modalità di rilevamento dei dati risentano fortemente degli obiettivi che in quel preciso momento ogni singola regione si pone. Ancora una volta la serietà e la correttezza scientifica vengono piegate alla volontà politica di chi è nei posti di comando. 

Ma a farne le spese rischia di essere la salute di noi tutti, oggi e domani.

Le pressioni economiche per riaprire i confini regionali

(di Diana Santini)

Il presidente della regione Fontana lo dice ancora questa mattina molto candidamente in un’intervista: “Confini chiusi anche dopo il 3 giugno in Lombardia? speriamo di no, anche per il giro d’affari che c’è.” Non sarebbe la prima volta, nella regione più colpita d’Italia dall’epidemia, che le esigenze economiche prevalgano su quelle sanitarie, si veda la triste storia delle zone rosse di alzano e nembro.

Guardando avanti però la questione non riguarda solo la pretesa locomotiva d’Italia. Siamo sicuri che le regioni stiano facendo tutto quanto in loro potere per fornire ogni settimana una fotografia fedele dell’andamento dei contagi? Anche a costo di essere poi trattate come zone a rischio, con tutto quel che ne consegue in termini economici?

Dubitarne è legittimo e l’esempio della Valle d’Aosta, che sta facendo molti test e adesso è sulla lista grigia delle regioni a rischio moderato, può scoraggiare le altre da fare altrettanto. Una sottostima interessata dei casi e degli indici di contagio non si può escludere. “Nessuno può anteporre il marketing del proprio territorio alla sicurezza, dice oggi il ministro Boccia”. Ma le pressioni economiche potrebbero essere più forti dei richiami alla prudenza.

Al via le richieste per il reddito di emergenza

(di Mattia Guastafierro)

 “Sono già 20mila le richieste presentate”. Così la ministra del Lavoro Catalfo ha annunciato l’avvio delle domande per il reddito di emergenza. Due milioni i cittadini che saranno raggiunti, secondo la sua stima. Servirà ad aiutare le famiglie più in difficoltà, quelle che durante il lockdown hanno perso qualsiasi forma di reddito, spesso proveniente dal lavoro nero. La misura era stata chiesta a gran voce all’indomani delle tensioni scoppiate in tante città, nel pieno dell’emergenza coronavirus. In molti faticavano anche solo a fare la spesa. Alcune famiglie erano state costrette a rivolgersi alla criminalità organizzata, come denunciato dai sindaci. Ad Ercolano, ad esempio, la camorra ha imposto prestiti a tassi da usura a chi non aveva i soldi per mangiare.

Solo adesso, con l’entrata in vigore del decreto rilancio, il sussidio potrà partire. A settimane di distanza da quelle tensioni. Un ritardo che è stato colmato dal terzo settore. “Meglio tardi che mai. Il tempo trascorso a causa della farraginosità delle procedure ha creato ulteriori scompensi di carattere sociale, ma la rete composta da tante associazioni di volontariato si è ben sostituita ai ritardi del governo”, spiega Francesco Giunta, ex sindaco di Termini Imerese, nel palermitano, che ha raccolto in queste settimane centinaia di appelli.

Calcolato in base all’Isee e al numero dei componenti familiari, il reddito di emergenza varrà da 400 a un massimo di 800 euro. Per presentare le domande all’Inps c’è tempo fino al 30 giugno. Ma quando arriveranno i primi soldi ancora non è chiaro.

Le reazioni tedesche alla controproposta sul recovery fund

(di Flavia Mosca Goretta)

Si tende più verso la critica che la lode, nelle prime reazioni tedesche sulla controproposta dei “frugali quattro” – Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca – al Recovery Fund di Merkel e Macron. Con la sola parsimonia non si esce dalla crisi, ha detto il socialdemocratico Ismail Ertug, citato dallo Spiegel Online. Negativo su alcuni aspetti è il giudizio del cristiano-sociale Markus Ferber. Per la Verde Franziska Brantner il cancelliere austriaco Sebastian Kurz – molto attivo sul fronte del no – agisce secondo un principio populista e critica punti che nella proposta franco-tedesca in realtà non ci sono. I quattro “frugali” vogliono in sostanza che ai Paesi più colpiti dal Coronavirus vadano prestiti, non contributi a fondo perduto. Sì ad un fondo di emergenza, ma temporaneo, di massimo due anni. No invece a strumenti o misure di mutualizzazione del debito e ad un significativo aumento del bilancio europeo. Ora si tratta di trovare un accordo, un compromesso. E c’è grande attesa per mercoledì prossimo, quando la presidente della Commissione europea Von der Leyen presenterà la sua proposta.

28 anni fa la strage di Capaci

(di Alessandro Principe)

Sarà, nonostante tutto, ancora la giornata del ricordo. Di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco di Cillo, Antonio Montinaro. Il 23 maggio di 28 anni fa la strage di Capaci. 

Oggi sarà un 23 maggio diverso. Non ci potrà essere la nave della legalità, che in questi anni ha portato migliaia di studenti da tutta Italia a Palermo, non ci sarà il corteo. Gli studenti e i loro insegnanti di decine di scuole si collegheranno e si scambieranno racconti, testimonianze, esperienze fatte a scuola e non solo in questi anni per ricordare Giovanni Falcone e il suo esempio.

Alle 17.58, il momento in cui esplose la bomba, a Palermo all’albero di Falcone, un trombettista della Polizia di Stato suonerà il silenzio. E poi i balconi, come in tanti momenti della quarantena. La Fondazione Falcone, ha invitato tutti a esporre un lenzuolo bianco, come avvenne 28 anni fa a Palermo.  E poi ci sono decine di altre iniziative in tante città, impossibile ricordarle tutte. Bene ricordare, però che oggi la mafia approfitta anche del virus. Della crisi economica feroce. E, come hanno già ricordato magistrati e associazioni antimafia, si sta organizzando per approfittare del disagio sociale, delle difficoltà economiche di cittadini e imprese. E preparandosi a infiltrarsi negli investimenti per la ripartenza.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

 

(foto: Wikipedia)

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