Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Mercoledì 9 dicembre 2020

Conte Camera Recovery Fund

Il racconto della giornata di mercoledì 9 dicembre 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia in Italia al braccio di ferro sulla gestione dei soldi del Recovery Fund e l’assenza di un piano strategico a lungo termine, mentre sembra che l’UE abbia raggiunto un accordo di massima con Polonia e Ungheria. Il premier britannico Boris Johnson ha soltanto poche ore per giungere ad un accordo sulla Brexit. La Francia, intanto, studia un disegno di legge per riaffermare la laicità come valore dello Stato.. Infine, i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

Come finirà il braccio di ferro sul Recovery Fund?

(di Michele Migone)

Come finirà il braccio di ferro sul Recovery Fund? Giuseppe Conte accetterà una gestione collegiale dei miliardi europei come vogliono Italia Viva e il Pd? Qualche indicazione emerge dai palazzi romani. La prima è che potrebbe esserci un esecutivo con questa stessa maggioranza, o simile, con l’aiuto dei cosiddetti responsabili, anche se a Palazzo Chigi non ci fosse più l’attuale presidente del Consiglio. Il Quirinale sarebbe d’accordo. Per Mattarella è impensabile il cambio di coalizione, non di chi guidi un governo con più o meno gli stessi colori dell’attuale. Ormai tutti hanno capito che qualsiasi sia il destino politico personale di Conte, la legislatura andrà avanti fino al 2023 perché in Parlamento solo Salvini e la Meloni vorrebbero andare alle urne, ma tutti gli altri no. Neppure Luigi Di Maio farebbe le barricate per Conte se fosse sicuro di rimanere in gioco come ministro. Per il presidente del consiglio cambia quindi la prospettiva. Non può più dire: o io o il diluvio, le urne. Non ha più quella leva di potere che gli permetteva di essere intoccabile. Chi vuole piegarlo a più miti consigli adesso ha invece la possibilità di usare contro di lui un’arma speculare. É probabile quindi che il tattico Conte faccia marcia indietro sulla cabina di regia per evitare brutti incidenti di percorso. Sarà sufficiente per rimanere a Palazzo Chigi anche nel 2021? Difficile dirlo. Conte è sempre più isolato. Dipenderà dai reali obiettivi dei personaggi sul palcoscenico della politica, ma anche dalle spinte e dalle pressioni delle forze economiche che vogliono accedere alla gestione dei miliardi europei.

Recovery Fund: quello che ci manca è una idea di futuro

(di Luigi Ambrosio)

C’è un numero che da solo dice molto. 9 miliardi. È la cifra che il governo vorrebbe destinare alla sanità, sui 209 totali del Recovery Fund destinati all’Italia. Una miseria. Si dirà che il governo fa conto sui soldi del MES, i famosi 37 miliardi per la sanità. Ma quei soldi non ci sono ancora e a stare a sentire i 5 Stelle, non arriveranno. Fino a che i grillini non piegheranno la testa stiamo parlando di una cifra incompatibile con quanto la pandemia ha messo drammaticamente in luce: i limiti, i deficit, della sanità italiana. Occorrerebbe destinare alla sanità molto di più. Soprattutto, occorrerebbe spendere quei soldi in funzione di una visione, di un progetto di lungo periodo. Ad esempio, creare un sistema sanitario pubblico moderno in tutto il Paese, non solo in aree privilegiate, all’altezza dei migliori sistemi europei.
Il Recovery Fund non serve per mettere toppe. Il piano europeo è un piano strategico. Noi, in Italia, una strategia non ce l’abbiamo. Da mesi la classe dirigente, dentro e fuori il Palazzo, ripete due concetti: green economy, digitalizzazione. “Faremo la svolta verde e digitale”. Già, ma in concreto? A giugno, i cosiddetti “stati generali” voluti da Conte hanno prodotto casomai liti e divisioni. Un progetto strategico per il paese da presentare a Bruxelles, no. Gli stessi partiti che chiedono di avere più potere decisionale su quei soldi, non hanno sentito fino a oggi l’esigenza di un confronto pubblico sull’Italia del futuro. Servirebbe, un grande dibattito politico su dove si voglia andare, cosa si voglia diventare. Per evitare che tutto si riduca a un gigantesco assalto alla diligenza, l’ennesima occasione persa per l’Italia.

Recovery Fund, accordo di massima con Ungheria e Polonia

Polonia e Ungheria hanno raggiunto un accordo di massima con l’Unione Europea sul Recovery Fund. Si tratta di una questione molto importante, perché con il loro veto i due Paesi stanno bloccando l’approvazione del budget europeo. Nello specifico Varsavia e Budapest si oppongono alla clausola che vincola i fondi al rispetto dello stato di diritto.
Il presidente polacco, Duda, ha confermato quanto dichiarato ad alcuni media da una fonte del suo governo: c’è un’intesa di massima sulla quale si sta ancora discutendo.
L’accordo definitivo potrebbe arrivare domani durante la riunione degli ambasciatori dei 27 a poche ore dal vertice europeo.

Brexit, ultima chance per trovare un accordo

Domani i capi di stato e di governo dovrebbero discutere anche di Brexit.
Questa sera a Bruxelles l’incontro tra Boris Johnson e Ursula von der Leyen, probabilmente l’ultima chance per riavvicinare le parti nel negoziato per un accordo commerciale.
L’intesa va trovata entro fine anno, quando il Regno Unito uscirà definitivamente dall’Unione Europea.
La distanza tra le parti è notevole. Oggi Johnson ha ripetuto che allo stato attuale nessun primo ministro britannico potrebbe accettare le proposte di Bruxelles su pesca e aiuti di stato, i due nodi della trattativa.

Francia, un disegno di legge per riaffermare la laicità come valore dello Stato

(di Luisa Nannipieri)

Un disegno di legge per riaffermare la laicità come valore dello stato. O meglio, per lottare contro i separatismi religiosi. Anzi no, per consolidare i principi repubblicani. Quello arrivato oggi sul tavolo del consiglio dei ministri francese è un progetto controverso che ha cambiato nome più volte, per cercare di smussare le polemiche e ricucire le divisioni sull’interpretazione della laicità che hanno lacerato la stessa maggioranza. E su cui Macron aveva iniziato a lavorare sin dall’inizio del suo mandato, accelerando la procedura dopo gli attentati di quest’autunno. L’obiettivo del testo, comunque, lo spiega chiaramente il primo ministro Jean Castex: combattere l’islamismo radicale, il nemico della Repubblica. Per non stigmatizzare l’islam e i musulmani, però, la parola islamismo non appare da nessuna parte nel disegno di legge, che è stato simbolicamente presentato il giorno dell’anniversario della legge del 1905 sulla separazione tra Stato e Chiesa. In fondo, sottolinea il primo ministro: “Questo disegno di legge è un progetto di liberazione dei musulmani dall’influenza crescente che l’islamismo radicale ha sulla loro fede”.
La cinquantina di articoli punta a rinforzare il principio di laicità nei servizi pubblici, creando un reato per chi intimidisce i funzionari ed estendendo l’obbligo di neutralità religiosa anche ai privati che lavorano per un servizio di pubblica utilità, come le ferrovie o gli aeroporti. Introduce la schedatura automatica per chi fa l’apologia di atti terroristici e delle pene, oltre a un procedimento accelerato, per chi diffonde online informazioni che permettano di localizzare qualcuno senza il suo consenso, mettendolo in pericolo. Come era successo con la decapitazione del professor Samuel Paty a ottobre. La legge, che riguarda diverse libertà fondamentali, prevede anche una stretta sul finanziamento dei luoghi di culto, un maggiore controllo sul loro funzionamento e l’obbligo per le associazioni di rispettare i valori repubblicani (leggi laicità), se vogliono le sovvenzioni statali. Tra i punti più criticati c’è poi la forte limitazione della scolarizzazione a domicilio, che dovrà essere autorizzata ogni anno dal rettorato e solo in casi precisi, e la possibilità per i prefetti di contestare le decisioni dei sindaci se contrarie al principio di neutralità del servizio pubblico.
Macron aveva inizialmente promesso un testo equilibrato, ma la parte che puntava a “farla finita con i ghetti”, introducendo più diversità sociale nelle case popolari, è stata eliminata. Dovrebbe essere presentata in futuro insieme ad altre misure per combattere le discriminazioni ma non si sa quando. Anche per questo, il Consiglio di Stato ha espresso diverse riserve, sottolineando che il grosso del testo che arriverà in parlamento a gennaio riguarda misure di ordine pubblico, amministrative, penali o economiche. Un parere che va nel senso delle associazioni e della sinistra, che considerano questa proposta di legge troppo repressiva e stigmatizzante.
In un periodo in cui le tensioni sono già fortissime, a causa della pandemia e delle proteste contro la legge sulla sicurezza globale, il dibattito che si annuncia rischia di intaccare ulteriormente la coesione sociale, anziché rafforzarla.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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    Redazione
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    “Di questa infamità vergognosa noi, spettatori spesso indifferenti, siamo del tutto colpevoli”. Sono le parole con cui Dario Fo, dieci anni fa, raccontò la storia di Ion Cazacu, ingegnere romeno immigrato in Italia per lavorare in nero come piastrellista a Gallarate. Ion Cazacu, il 14 marzo del 2000, 25 anni fa, fu cosparso di benzina e bruciato vivo dal suo datore di lavoro. Cosimo Iannece, il padrone, rispose così alle continue richieste di Cazacu di avere una paga dignitosa, un contratto regolare, per sè e per i suoi compagni di lavoro. Cazacu morì il 14 aprile 2000 dopo un mese di agonia per le ustioni gravissime che aveva su tutto il corpo. Iannece alla fine di tutto l’iter processuale fu condannato a 16 anni, dopo che in primo e secondo grado le condanne furono a 30 anni. Della storia di Ion Cazacu, dello sfruttamento schiavistico a cui fu sottoposto, si occuparono negli anni anche Franca Rame e Dario Fo. Florina Cazacu, figlia di Ion, è stata ospite di Pubblica, oggi. Insieme a Fo, Florina Cazacu ha scritto un libro che è anche un atto di denuncia contro lo sfruttamento, le violenze sul lavoro. Il libro si intitola: «Un uomo bruciato vivo. Storia di Ion Cazacu» (Chiarelettere 2015).

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