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Che cosa è successo oggi? – Giovedì 5 novembre 2020

covid lombardia fontana

Il racconto della giornata di giovedì 5 novembre 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia in Italia all’attesa per i più recenti dati del monitoraggio dell’ISS che potrebbe far cambiare “colore” a qualche regione già poche ore dopo l’entrata in vigore del nuovo DPCM secondo i 21 parametri fissati e illustrati oggi dall’Istituto Superiore di Sanità. Attilio Fontana protesta come uno studente che ha preso un brutto voto dopo che non ha fatto i compiti a casa, mentre oggi da nord a sud del Paese è stata una giornata di scioperi e proteste. Negli Stati Uniti, intanto, Biden è ad un passo dalla Presidenza. Infine, i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

L’aggiornamento sui dati di oggi non va bene” lo ha detto il direttore Prevenzione del ministero della salute Gianni Rezza commentando i nuovi numeri sui contagi da COVID-19 in Italia. 34.500 casi con circa 220mila tamponi, ma soprattutto 445 morti. Un dato che riporta al pieno della prima ondata. Ieri erano stati 352 e 350 il giorno precedente: oltre 1000 morti in 3 giorni. 99 i nuovi ricoveri in terapia intensiva, continuano a crescere i nuovi ospedalizzati, oggi 1.140.
A mezzanotte entra in vigore il decreto con le nuove restrizioni per provare a frenare la curva di crescita. C’è voluto un altro giorno per risolvere le questioni ancora aperte tra governo e regioni, che anche oggi lo hanno contestato, in particolare quelle finite in fascia rossa: Piemonte, Lombardia e la Calabria che ha annunciato addirittura l’impugnazione davanti alla giustizia amministrativa. Il Ministro della Salute Speranza stavolta ha risposto: “È surreale che anziché assumersi la loro parte di responsabilità ci sia chi faccia finta di ignorare la gravità dei dati sui propri territori. Serve unità e responsabilità. Non polemiche inutili”.
Nel pomeriggio l’Istituto Superiore di Sanità e il Ministero della Salute hanno spiegato i 21 parametri che regoleranno il meccanismo di entrata ed uscita nelle 3 fasce – gialla, arancione, rossa – e che da maggio, in accordo con le Regioni che forniscono i dati, valutano il grado di rischio su ogni territorio. L’obbiettivo principale è non far collassare i sistemi sanitari.

Attesa per i più recenti dati del monitoraggio dell’ISS

(di Anna Bredice)

Entro le prossime 48 ore arriveranno all’Istituto Superiore di Sanità gli ultimi dati per completare il monitoraggio che va dal 25 ottobre fino a ieri, dati che diranno se le restrizioni delle ultime settimane hanno prodotto dei risultati positivi, ma se sarà così nell’immediatezza non cambieranno le cose per le regioni che si trovano nella fascia rossa, quei dati devono essere consolidati, e quindi mantenersi in equilibrio per le prossime due settimane, e solo allora, sempre con lo stesso automatismo frutto del calcolo dei 21 parametri e dell’indice Rt, una regione in zona rossa potrà passare ad una arancione. È possibile invece che sia più veloce il contrario, se gli ultimi dati del rapporto settimanale di una regione compresa in una zona gialla peggiorassero improvvisamente dovrebbe essere immediato il passaggio in quella arancione. Nel corso del mese, e cioè la durata del Dpcm, potrebbero verificarsi entrate e uscite di regioni a seconda dei risultati e di un rapporto che tiene conto di tanti aspetti e soprattutto di un trend, che non può mutare da un giorno all’altro, perché l’indice Rt dice proprio quanti contagi potranno esserci da quel giorno in poi.
Tutti questi dati arrivano in una cabina di regia dell’Istituto Superiore di Sanità che è composta anche da tre membri delle regioni, numeri e previsioni che le Asl regionali mandano a Roma, un aspetto che Brusaferro ha ripetuto più volte nel corso della conferenza stampa di oggi, a sottolineare che le Regioni sanno benissimo da ben 24 settimane come si elaborano i monitoraggi settimanali e che quindi non sono state prese alla sprovvista. Altri cambiamenti potranno avvenire nelle zone arancioni e gialle, laddove in particolari contesti i contagi e la situazione sanitaria è più grave che nel resto della regione, è il caso di Napoli o altre città nelle quali il Presidente della regione o il sindaco potranno decidere zone rosse anche all’interno di un contesto meno grave.

Quali sono i 21 parametri per valutare il rischio COVID in Italia?

(di Massimo Alberti)

Monitoraggio, tracciamento, diagnosi, numero dei contagi e gestione ospedaliera. Non è solo un problema di quanti casi, ma una somma di fotografia e prevenzione del rischio: più della metà dei 21 parametri, attivi da maggio su base dei dati forniti dalle regioni stesse, riguardano sostanzialmente la capacità sanitaria. Si guarda innanzitutto all’efficacia con cui il sistema trova, notifica, cura, se necessario ricovera: ad esempio quanto tempo passa tra l’individuazione di un caso, il tampone, la cura, e che portano così a valutare gli scenari di possibile velocità di trasmissione, il cosiddetto rt. Si passa poi al rapporto tra personale destinato alle attività di tracciamento e diagnosi in rapporto ai potenziali malati, e ai parametri successivi che riguardano la tenuta dei sistemi sanitari: numero di ricoverati, terapie intensive, letti disponibili, accessi in pronto soccorso. È tutto questo a comporre il quadro che porta al calcolo dell’algoritmo. Se una regione non è in grado di trovare i casi, tracciare i contatti, dare un’adeguata risposta medica sarà penalizzata, perché la conseguenza non potrà che essere una veloce diffusione del virus e il crollo del sistema ospedaliero. È ciò che spiega, ad esempio, la situazione critica della Lombardia e del Piemonte. E che spiega come mai la Calabria, con meno casi della Campania, sia in fascia rossa: una peggior capacità di risposta del sistema che alza l’indice di trasmissione. Uno scenario di convivenza col virus, col ministero che potrà intervenire togliendo o mettendo le regioni in una fascia a seconda della capacità di cura, con l’obiettivo di preservare i sistemi sanitari senza penalizzare troppo l’economia. Se sarà sufficiente, quante vittime costerà questa scelta, se serviranno nuove restrizioni, lo diranno le prossime settimane.

L’infantile protesta di Attilio Fontana

(di Michele Migone)

Attilio Fontana contesta la decisione del governo di inserire la Lombardia nell’elenco delle Regioni Zona Rossa, ma sembra la protesta per un brutto voto di uno studente che non ha fatto i compiti a casa. I criteri del Ministero della Salute sono abbastanza chiari e si riferiscono per lo più alla capacità dei sistemi sanitari regionali di sostenere questa seconda ondata. Quello lombardo è andato sotto stress da diversi giorni. In parte per ragioni che non possono essere imputabili alle autorità regionali, ma in parte per gli errori di gestione che Fontana e Gallera hanno continuato a fare.
Prendiamo l’esempio dei posti in terapia intensiva. I ricoverati oggi sono 507. La Lombardia è indietro rispetto al piano di sviluppo delle terapie intensive chiesto dal governo alle regioni: a metà ottobre c’erano 555 letti in meno dei 1416 previsti. Ora c’è la corsa per recuperare il terreno perduto, si riapre l’ospedale in Fiera, con pochi letti, a dir la verità, ma l’emergenza continua su questo fronte. E poi ci sono gli altri. Il tracciamento a Milano è collassato e nel resto della regione non sta meglio. Si aspettano giorni e giorni per un tampone, in mezzo alla disorganizzazione. La medicina territoriale per controllare e prevenire la diffusione del virus non è stata sviluppata. Le famose Usca, le unità di medici per seguire i pazienti a casa, sono un miraggio. Dovevano essere 200, sono 46. La mancanza di un filtro sul territorio ha costretto le persone a rivolgersi ai Pronto Soccorso, mandando così sotto stress l’intera rete a Milano e in altre città lombarde. Nei mesi precedenti, poi, negli ospedali sono stati tagliati i posti COVID che erano stati creati. Ora, c’è la corsa a ricrearli. Anche altre regioni sono in ritardo, ma qui, sono stati scordati troppo presto gli errori e i lutti della prima ondata.

La retorica sulla guerra e l’eterno fascismo italiano nella lettera agli studenti delle Marche

(di Luigi Ambrosio)

La peggiore retorica fascista su quell’immane massacro che fu la prima guerra mondiale. Si può sintetizzare così la lettera che il direttore generale dell’ufficio scolastico delle Marche ha indirizzato agli studenti della Regione il 4 novembre, anniversario della fine della guerra.
Il soldato come eroe che sceglie di morire per i propri ideali e che si contrappone al vigliacco, al pavido. Il soldato morto descritto come vero uomo perché martire delle proprie idee. Un martire cui tributare il saluto fascista, il presente. Questo, nel 2020, a 102 anni dalla fine della prima guerra mondiale, il messaggio che si sono sentiti recapitare gli studenti. [CONTINUA A LEGGERE]

Giornata di scioperi e proteste da nord a sud dell’Italia

Oggi c’è stato uno sciopero nazionale di quattro ore dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto scaduto a fine 2019. Ci sono stati presidi in diverse città, da Milano a Napoli, dove la mobilitazione si univa a quella per i lavoratori della Whirlpool. Pochi giorni fa la chiusura dello stabilimento del capoluogo campano decisa dalla multinazionale. Massimiliano Guglielmi è segretario della Fiom della Campania


 
Oggi a Milano ci sono state proteste dei rider, i fattorini che portano il cibo a domicilio. Anche nei giorni scorsi e non solo nel capoluogo lombardo c’erano state mobilitazioni contro il contratto firmato dall’organizzazione imprenditoriale Assodelivery e dall’Ugl, ma non riconosciuto dagli altri sindacati. Un accordo che ostacola l’aumento di tutele per i lavoratori previsto da un decreto approvato un anno fa, che imponeva l’estensione ai rider del contratto collettivo della logistica in mancanza di un’intesa specifica per la categoria.

Elezioni USA, per Biden è sufficiente la vittoria di Nevada e Arizona

(di Roberto Festa)

A Joe Biden è sufficiente la vittoria di Nevada e Arizona, dove peraltro per ora è in vantaggio, e ha vinto. Il conteggio dei voti è ancora in corso, in diversi Stati. In Pennsylvania, in Arizona, dove ci sono ancora 275 mila voti da scrutinare, in Georgia, dove ne mancano 60 mila, in Nevada e North Carolina. Interessante la Georgia, dove il risultato si gioca sul filo del rasoio. Trump è davanti a Biden di 14 mila voti, ma ci sono ancora 60 mila schede da scrutinare, e sono per la gran parte voti per posta, quindi che tendono a favorire I democratici. Entro stasera dovrebbero riuscire a conteggiarli tutti, ci potrebbe essere quindi anche una vittoria democratica. Diciamo comunque che, nell’insieme, Biden è favorito perché, perché conta su diverse combinazioni per vincere, tra gli Stati in cui lo scrutinio è ancora aperto. E comunque, gli bastano Nevada e Arizona, dove è in vantaggio, per diventare presidente. Per Trump la strada è più stretta, difficile. Deve vincere in almeno quattro degli Stati ancora contesi, per restare presidente.
Per ora Trump ha chiesto riconteggi in Wisconsin e Michigan, e soprattutto ha chiesto che venga bloccato il conteggio dei voti arrivati per posta in Pennsylvania. In Pennsylvania possono essere conteggiati I voti che arrivano anche a tre giorni dopo la chiusura delle urne, quindi fino a domani, venerdì, basta che siano stati spediti entro il giorno delle elezioni. Trump dice che è una truffa, che stanno arrivando migliaia di voti spediti dopo il giorno delle elezioni. Le future azioni legali di Trump, l’eventuale ricorso alla Casa Bianca, dipendono dalla situazione generale. E cioè: se Biden vince in Nevada, Arizona, forse Georgia, allora andare alla Corte Suprema per il voto della Pennsylvania diventa inutile, e saranno probabilmente I suoi stessi consiglieri a dirgli, di lasciar perdere. Se invece il voto proprio della Pennsylvania diventa decisivo, ed è la Pennsylvania dove si concentrano di più i sospetti dei repubblicani, allora un ricorso alla Corte Suprema è possibile. Lo stesso presidente, dicono fonti interne della Casa Bianca, appare comunque poco convinto che le azioni legali possano davvero funzionare. E che sia possibile, a questo punto, bloccare la macchina del voto. In giro per il Paese ci sono del resto migliaia di manifestanti che chiedono proprio questo: che tutti I voti vengano davvero contati.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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