
Questa notte, dopo undici giorni di combattimenti, Israele e Hamas hanno finalmente raggiunto un cessate il fuoco. Ai microfoni di Radio Popolare, Claudio Jampaglia ha intervistato Safwat Kahlout, giornalista di Al-Jazeera, per farsi raccontare la situazione a Gaza.
Questa notte è stato raggiunto il cessate il fuoco, possiamo guardare le cose con più tranquillità? Che cosa sta succedendo, nella tua vita e nelle strade della tua città?
Speriamo che sia un buon giorno. Siamo riusciti a raggiungere il cessate il fuoco grazie alla mediazione dell’Egitto. La gente, dal primo secondo, in quasi tutta la Striscia di Gaza, è uscita nelle strade per festeggiare questo accordo e quello che chiamano la “vittoria”.
La città ha subito una distruzione significativa, ci sono stati tantissimi morti, perché i palestinesi la considerano una vittoria?
Tutta la violenza e l’aggressione israeliana è iniziata a Gerusalemme, hanno iniziato a cacciare via la gente dalle loro case e sono entrati nella moschea di Al-Aqsa.
Da quello che abbiamo capito gli israeliani hanno accettato di fermare tutto e la gente di Gerusalemme potrà tornare a vivere più o meno normalmente, per questo la chiamano vittoria. Inoltre, questa piccola Gaza, sotto assedio da 15 anni, è riuscita ad alzare la testa dal primo secondo e a non alzare le mani.
Non è una vittoria militare, anche perché nelle guerre non ci sono vincitori, ma è una vittoria morale.
Che cosa rimane sul terreno della città dopo questa guerra? Qual è il livello di distruzione? Qual è il livello di dolore, di fatica, di danni e di ricostruzione di cui avete bisogno?
La distruzione è enorme, ci sono zone residenziali che sono completamente distrutte.
Ci sono centinaia di morti e feriti tra cui anche un gran numero di donne e bambini.
Gaza purtroppo è abituata a queste escalation. Questa è la quarta guerra negli ultimi undici anni, però ogni volta subito dopo ogni guerra, la gente si rialza, cerca di curarsi le ferite e si formano delle squadre per cercare di riparare quello che è stato distrutto.
Ci vorrà molto tempo per ricostruire però almeno la guerra è finita e la gente può uscire nelle strade, può aprire i negozi e chi ha dovuto seppellire i propri cari senza seguire le procedure tradizionali, può finalmente aprire le tende di condoglianza e andare avanti con la propria vita.Questa è la quarta guerra negli ultimi undici anni, svegliarsi sotto le macerie e andare avanti con la propria vita è diventata quasi una “forma cultura”.
L’edificio di Al-Jala dove si trovavano gli uffici di Associated Press e Al-jazeera è stato distrutto. Come vedi il tuo lavoro in questo momento nella città? Può riprendere?
Abbiamo dovuto lasciare tutto indietro, le memorie, il lavoro, le cerimonie, le amicizie e tutto quello che abbiamo fatto insieme ai colleghi. L’ufficio era la nostra seconda casa, però siamo riusciti ad andare in onda e fare dirette fin da subito. Non ci siamo fermati neanche un secondo. La cosa più importante per noi è che tutti i colleghi sono sani e salvi e che non abbiamo perso nessuno. Possiamo ricominciare da capo, possiamo andare avanti.
Ieri António Guterres, il segretario generale dell’ONU, ha detto che la vita dei bambini di Gaza è un inferno, sei d’accordo?
È giusto dire che la vita dei bambini è un inferno. Ci sarà un alto livello di problemi mentali causati da questa guerra. Gaza è troppo piccola e i bombardamenti erano ovunque, i bambini non potevano sopportarlo. Credo che le squadre di psicologi cominceranno a raggiungere i bambini per iniziare a prendersi cura della loro salute mentale.
Ci sono persone che erano bambini durante la guerra del 2014 che ancora soffrono e magari sono rimaste orfane o hanno perso fratelli o parenti.
Si dovrà lavorare molto per curare tutto ciò che la guerra ha causato.
FOTO | I palestinesi festeggiano dopo il raggiungimento del cessate il fuoco tra Israele e Gaza