Le elezioni catalane ci dicono alcune cose importanti, non solo per la Catalogna ma anche per la politica spagnola in generale. Ci sono delle conferme e ci sono delle novità.
Innanzitutto queste sono state le prime elezioni dal 2017, l’anno del famoso referendum per l’indipendenza.
I partiti indipendentisti sono andati per la prima volta sopra il 50% dei voti, non era mai successo. Nonostante la crisi economica e la pandemia continuano quindi ad avere presa sulla società catalana. Se si considerano anche i partiti che non sono a favore dell’indipendenza ma dell’autodeterminazione (di un referendum) la percentuale sale ben oltre il 50%.
Bisogna però stare attenti a una cosa: la partecipazione è stata piuttosto bassa rispetto al passato, circa il 53%, e molto probabilmente – viste le aree geografiche dove si è votato meno – questo ha favorito il campo indipendentista, per sua natura più molto più mobilitato.
L’altro elemento importante è l’ottimo risultato dei socialisti catalani, in termini di voti il primo partito a livello regionale. Questo mette in luce diverse dinamiche.
Il fronte anti-indipendentista – che solitamente si esprime attraverso i partiti nazionali – è dominato da una forza politica sulla carta aperta al dialogo. Stiamo parlando del partito del primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez. Con ogni probabilità i socialisti non riusciranno a formare un governo – dovrebbero farcela invece i partiti indipendentisti – ma il loro atteggiamento sarà fondamentale per il futuro della Catalogna.
Se volessimo leggere la politica catalana andando oltre l’indipendentismo noteremmo anche una maggioranza di sinistra. Dei socialisti abbiamo detto. Poi ci sono Esquerra Republicana, espressione della sinistra indipendentista e partito con più voti e seggi nel blocco indipendentista, Podem, la versione catalana di Podemos, e infine la CUP, l’estrema sinistra indipendentista che questa volta si è detta pronta a far parte della squadra di governo.
La vittoria della sinistra è in qualche modo anche la vittoria di Pedro Sanchez, che tra alleati di governo e partiti che a Madrid lo appoggiano dall’esterno guida quella che potremmo quasi definire una grossa coalizione, appunto, di sinistra.
Come era già successo negli ultimi appuntamenti elettorali in Spagna a destra crescono invece gli estremisti di Vox e crolla il Partito Popolare.
Chi governerà quindi in Catalogna?
Dicevamo che la soluzione più probabile è un altro governo indipendentista, ma più moderato e soprattutto più pragmatico rispetto a quelli degli ultimi anni. Il pragmatismo è nel dna di Esquerra Republicana, che è arrivata davanti all’altra grande formazione indipendentista, Junts per Catalunya (Uniti per la Catalogna) il partito più ideologico dell’ex-presidente catalano, Puigdemont, in esilio all’estero dal 2017. Esquerra Republicana ha già detto che allargherebbe un’eventuale coalizione oltre l’indipendentismo e su questo probabilmente litigherà con il partito di Puigdemont.
Il dato comunque è che ci dovrebbero essere dei pragmatici tanto alla guida del governo quanto dell’opposizione. Se così sarà nel breve periodo, nonostante gli annunci di questi giorni, è improbabile un nuovo referendum per l’indipendenza in Catalogna. A meno che non sia una consultazione popolare concordata con Madrid.