
Maria Monteleone è procuratore aggiunto a Roma. Coordina il gruppo di pm che si occupano dei reati contro donne e minori. Di casi di femminicidio ne ha visti tanti, suo malgrado. L’ultimo è quello di Sara Di Pietrantonio, la ragazza di 22 anni bruciata viva dal suo ex fidanzato di 27 anni che non accettava l’idea di perderla. Un caso come tanti, purtroppo. Sara non ha saputo comunicare i suoi timori, non ha saputo farsi proteggere. In altri casi le denunce non sono bastate. Ma il magistrato Monteoleone sottolinea: “I mezzi per supportare chi denuncia ci sono. Sono molti i casi che si risolvono positivamente grazie ad una segnalazione”.
Dottoressa Monteleone, partiamo da una sua riflessione su questo caso di femminicidio.
A volte l’indifferenza contribuisce a rendere possibili certe violenze e che quindi dovremmo essere un po’ più disponibili e attenti alle necessità degli altri. Ci sono molti modi per essere utili ad una persona che si sente in pericolo senza nemmeno esporsi eccessivamente.
Come si rafforza questo senso civico di cui lei parla?
Questo è uno dei motivi per cui la procura ha deciso di diffondere questo messgggio: serve parlarne. Anche in una situazione di particolare pericolo basta fermarsi e chiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Spesso basta questa a salvare la vita ad una persona.
Cosa vuole dire alle ragazze che subiscono stalking e violenze?
Alle donne voglio dire che nella situazione attuale non si può sottovalutare nulla, che devono condividere con le persone che stanno loro attorno qualunque preoccupazione, ogni ragione che giustifichi un’allerta. E in caso necessario denunciare è sempre la scelta migliore.
Ma lo Stato poi supporta chi fa queste scelte? Ci sono poi gli strumenti per stare vicino a chi denuncia?
Assolutamente sì. Per fortuna sono moltissime le donne che si salvano proprio grazie alle denunce. Fa più notizia, ed è comprensibile, un fatto gravissimo come quello accaduto a Sara Di Pietrantonio, ma le posso garantire che l’attività quotidiana delle forze dell’ordine ne impedisce moltissimi. Molti, molti più di quanti non se ne possa immaginare. Ci sono strutture in Italia anche di eccellenza che sono in grado di gestire queste segnalazioni, questo è bene che si sappia.
Ci sono 200 casi di femminicidio ogni anno. Secondo lei, che sta seguendo il caso, quello di Sara è diverso dagli altri?
Direi di no. Sostanzialmente è un caso tra i più efferati e tra i più tipici, purtroppo. E in effetti il capo d’imputazione è omicidio premeditato per altro aggravato dalla connessione con atti persecutori.
Le chiedo una riflessione generale sul ruolo che potrebbe avere la scuola in questo contesto.
La scuola e la cultura devono essere veicolo di legalità. Le ragazze devono percepire l’esigenza e il diritto ad essere rispettate e tutelate sempre. La scuola ha un compito primario, non c’è dubbio.
Cosa l’ha colpita di più in questo caso?
Il grandissimo dispiacere nel pensare che si sarebbe potuto evitare con una certa facilità. Bastava che qualcuno tra i passanti chiamasse il 112 o il 113. E poi il grande dispiacere di vedere che nonostante i tanti amici Sara non abbia sentito l’esigenza di condividere le sue preoccupazioni e il sospetto di essere in pericolo.