“Sul caso di Giulio Regeni si è fatta una letteratura vergognosa senza tener conto delle specificità dell’Egitto, senza conoscere cosa succede in quel paese. Sono state dette delle assurdità su Giulio Regeni e sul suo caso che hanno di fatto depistato l’opinione pubblica”.
Così Lorenzo Declich – studioso dell’Islam contemporaneo – spiega le ragioni che lo hanno spinto a scrivere Giulio Regeni, le verità ignorate, libro pubblicato lo scorso maggio da Alegre.
Declich smonta tutte le tesi che inseriscono il caso in un “disegno misterioso” le cui trame andrebbero scoperte. Fantasiose spy stories, lotte fra servizi segreti, rivelazioni anonime che confondono le acque, invece di spiegare.
Grazie a questo equivoco, Regeni viene trasformato in una figura dubbia e il regime di Al Sisi diventa – da carnefice – in vittima di un complotto. Fino a ipotizzare che il ricercatore sia stato ucciso per mettere in difficoltà il presidente Al Sisi, trasformato in paladino della lotta al terrorismo e “buon padre di famiglia”.
Per Lorenzo Declich queste sono assurdità, se non veri e propri depistaggi. La verità sarebbe molto più semplice: nessun complotto. Basta la “banalità del male” a spiegare la crudele uccisione del ricercatore italiano. Declich ci spiega perché in questa intervista.
Facciamo un breve elenco delle assurdità che sono state scritte sul caso Regeni.
“La prima è stata dipingere Giulio Regeni dapprima come uno sprovveduto, poi come uno sprovveduto che veniva strumentalizzato da altri, infine come una spia: una spia italiana o britannica. È stata fatta una letteratura attorno alla sua biografia che ha depistato chi è interessato alla ricerca della verità. Il mio libro l’ho scritto proprio per questo: per ridare dignità e forza alla figura di Giulio Regeni e per elencare quelle 3 o 4 verità semplici e dure che conoscevamo già dai primi giorni della sua scomparsa e del suo ritrovamento”.
Quali sono queste verità?
“Che questo è un assassinio di Stato, perché c’è un regime assassino in Egitto che non fa altro che mettere in atto un’escalation della repressione. Giulio Regeni è finito nelle maglie di questo apparato fuori controllo proprio nel giorno dell’anniversario della Rivoluzione egiziana”.
Dunque tutte le ipotesi che sono state fatte – cioè che lui fosse sotto osservazione da tempo, che facesse delle ricerche troppo pericolose, che fosse finito in mezzo a uno scontro fra gli apparati di sicurezza egiziani – sono tutte senza fondamento?
“Sono ipotesi frutto dell’ignoranza di chi non conosce la realtà egiziana. L’Italia si è svegliata da un lungo sonno sull’Egitto, e non a caso: il governo italiano era impegnato da tempo nel legittimare la figura di Al Sisi. L’Italia si è svegliata e non ha visto la realtà dei fatti. Cioè che Giulio Regeni era un ricercatore come tanti altri, che stava facendo una ricerca simile a quella che fanno tanti altri ricercatori in Egitto, che non c’era nulla di così segreto. Se un servizio di intelligence di qualche paese straniero avesse voluto sapere le cose che Giulio Regeni stava studiando, avrebbe potuto farlo facilmente senza l’aiuto di un ricercatore come lui”.
Quindi qual è la tua ipotesi? Come mai Regeni è finito nelle mani dei servizi di sicurezza egiziani?
“È finito nelle mani dell’apparato di Al Sisi per una serie di coincidenze sfortunate, proprio nel giorno in cui si celebrava l’anniversario della rivoluzione egiziana. Quel giorno tutti i servizi di sicurezza di Al Sisi erano mobilitati per assicurare che non ci fosse alcun genere di manifestazioni contro il dittatore. È finito nelle maglie di questo apparato e purtroppo non abbiamo avuto gli strumenti sufficienti per tirarlo fuori dall’incubo in cui si è trovato. Conoscendo e ripercorrendo la storia dell’Egitto degli ultimi anni, si capisce quanto purtroppo un fatto tragico come questo poteva succedere. Nessuno si aspettava che succedesse a un italiano – a un ricercatore italiano – ma è una cosa che accade tutti i giorni in Egitto”.
E le autorità italiane come si sono comportate in questa vicenda? Tu nel tuo libro parli molto di questo.
“La cosa che più mi ha colpito è il fatto che l’Italia abbia puntato immediatamente sulla collaborazione giudiziaria con le autorità egiziane, pur conoscendo perfettamente in quale situazione versi il comparto giudiziario in Egitto. Era ovvio che avrebbe incontrato un muro di gomma, seguendo questa strada. Quello che invece doveva fare il governo italiano era – da subito – un’iniziativa politica. Che invece è tardata molto ed è stata anche molto debole”.
Nel libro c’è anche un capitolo sugli interessi economici che l’Italia ha in Egitto
“Sì, interessi molto forti, che non sono stati minimamente toccati dal caso Regeni, al contrario di quello che ho visto scritto su tanti giornali. I protocolli di intesa fra l’ENI e l’Egitto di Al Sisi sono stati ratificati dopo la morte di Giulio Regeni: nelle settimane seguenti. Gli affari sono proseguiti come al solito, senza registrare cambiamenti apprezzabili”
Dopo aver demolito tutte le tesi palesemente false sul caso Regeni, il libro tenta di mettere ordine nei fatti che invece sono noti e documentati. Inserisce la vicenda Regeni in un contesto in cui nel solo 2015 ci sono stati in Egitto 464 casi di sparizione forzata, 1.676 casi di tortura, 500 dei quali terminati con la morte della persona torturata. Ricorda che “nei giorni in cui Giulio spariva al Cairo, sparivano anche due attivisti per i diritti umani in Egitto. Entrambi sono stati ritrovati morti con segni di tortura”.
Eppure la maggioranza degli analisti italiani parla di un caso eccezionale. Gli editorialisti scrivono che “Al Sisi è un criminale ma non è stupido”. Non si capacitano che il regime egiziano abbia osato infierire con tanta violenza su un cittadino straniero, senza valutare le conseguenze.
Invece si dimentica che ci sono diversi precedenti alla vicenda Regeni, tutti riferiti dalle cronache. Il libro di Declich ricorda il caso dell’insegnante francese Eric Lang, arrestato dalla polizia egiziana e morto misteriosamente in un commissariato nell’autunno 2013, ufficialmente “ucciso dai compagni di cella”.
C’è il caso del giornalista italiano Andrea De Georgio, arrestato nel 2011 con l’accusa di vandalismo, poi di spionaggio; De Georgio viene salvato in extremis solo perché riesce ad avvertire il consolato italiano e viene liberato dopo aver assistito in prigione a terribili torture sui suoi compagni di detenzione.
Il libro riproduce anche la testimonianza di David Sansonetti, giornalista free-lance arrestato dalla polizia egiziana il 25 gennaio 2014: anche lui nell’anniversario della rivoluzione egiziana, come Giulio. “Vige un clima di violenza nei confronti di tutti i giornalisti stranieri” scrive Sansonetti sul Manifesto, raccontando di essere salvo solo grazie all’intervento della console italiana.
C’è il caso dell’italiano D.G., prigioniero delle carceri egiziane per 27 giorni, dove viene costretto ad assistere alle torture di altri detenuti. Accetta di raccontare la sua storia (anonima) a Vice News solo perché sconvolto dal caso Regeni.
E noi aggiungiamo la vicenda del musicista milanese Davide Romagnoni, raccontata da Radio Popolare: 35 ore di terrore nelle carceri egiziane di Sharm el Sheik, solo per aver scattato una foto.
Radio Popolare aveva raccontato anche la vicenda della giornalista statunitense Mona El Tahawi, a cui la polizia aveva spezzato entrambe le braccia nel 2012; venne rilasciata solo perché era riuscita a dare l’allarme via Twitter. Per non parlare delle giornaliste straniere vittime di stupri di massa in piazza Tahrir, assalite nell’indifferenza della polizia egiziana.
La situazione è talmente pericolosa in Egitto che tutti i corrispondenti e i free-lance italiani hanno lasciato il Paese negli ultimi anni. Al Cairo resta solo l’ufficio dell’Agenzia di stampa Ansa.
Tutto ciò dimostra che in Egitto non serve a molto essere stranieri, anche perché il livello di xenofobia alimentato dalle autorità è ormai alle stelle e influenza sia la gente, sia le forze di sicurezza. Il messaggio di fare attenzione agli stranieri perché potrebbero essere delle spie è stato affidato anche a uno spot televisivo.
Il paese è in preda a una “dittatura debole” che è il regno dell’arbitrio e – spesso – dell’assurdo. Un paese in cui un bambino di 4 anni può venire condannato all’ergastolo per un omicidio che evidentemente non ha commesso – come racconta il libro di Declich – è un paese dove tutto è possibile.
Queste sono le responsabilità egiziane, ma il libro analizza anche quelle italiane. Il modo in cui è stata costruita la vicenda della spy story, ad esempio, e le assurde accuse ai docenti di Cambridge di Giulio, come se la colpa della sua morte ricadesse su di loro, invece che sul regime di Al Sisi.
Un paragrafo è dedicato alla ricostruzione minuziosa di “ciò che l’Italia non ha fatto per salvare Giulio Regeni” nei giorni in cui era prigioniero, ma ancora vivo. Errori, sottovalutazioni o responsabilità più gravi? Il libro ricorda che in quei giorni era presente al Cairo anche il capo dei servizi segreti italiani Alberto Manenti.
Insomma: “Giulio Regeni, le verità negate” va letto e contribuisce davvero a fare chiarezza, mettendo alcuni punti fermi. Ma la strada che porta alla verità è tutta in salita, perché in questa storia – scrive Declich – c’è un “livello di menzogna sottile”, “un’ipocrisia” che è “tutta italiana” e che “attende di essere smascherata”.